Non mi dispiace andare in bici, quando c’è il sole e si propone un giro in compagnia, e basta: questo era il mio intero collegamento con il mondo del ciclismo, finché non ho provato il Mottolino

Sono Livio, ho quasi trent’anni, amo il buon cibo e vivo a Milano. Svolgo un mosaico di lavori sedentari: editor, correttore di testi, tutor di un corso universitario e scrittore di romanzi.

Di recente ho dovuto limitare lo sport a una discontinua attività in palestra, ma ogni volta che riesco a muovermi un po’, il corpo mi manda segnali inequivocabili: la pancia recede, l’umore migliora, le energie raddoppiano. Persino sul piano creativo è tutta un’altra storia! Per questo, nel titanico generatore di stress che alcuni chiamano “giugno”, ho approfittato senza indugi dell’invito di BiciLive.it, che cercava un inviato per un approccio “da prima volta” alla mtb e all’ebike, la bicicletta elettrica.

Downhill? Va benissimo, ho pensato, ho bisogno di staccare un po’

E così, provvisto solo di scarpe, zaino e voglia di tirare il fiato, in un radioso venerdì di metà giugno mi sono ritrovato in quella fetta di verde paradiso che è Livigno, con l’aria frizzante di sole e il vento di montagna che sembrava volermi entrare nei polmoni.

La base operativa è stata il bike hotel Alpen. La sera dell’arrivo ho cenato nella più alta birreria d’Italia, la 1816: consiglio di provare l’insalata di patate in salsa d’aglio, se non pianificate una serata romantica.

Dopo una notte di sonno, io e alcuni altri giornalisti abbiamo raggiunto il Mottolino Bike Park e ci siamo fermati al Dr. Rent, per ottenere l’equipaggiamento da downhill.

Io di attrezzatura ciclistica non capisco un accidente, quindi ho semplicemente lasciato fare a loro: in quattro e quattr’otto, eccomi con indosso un casco in policarbonato, corpetto protettivo uguale all’armatura dei soldati Umbrella nei film di Resident Evil (il selfie ha mietuto istantaneamente una sessantina di like su facebook) e una mtb Specialized Status.

Tecnologia FSR, 200 mm di escursione, geometria DH race e X-Fusion Vector R: per me era semplicemente una bici fighissima! Non mi aspettavo che il noleggio giornaliero di tutto questo, comprensivo del pass della telecabina, costasse a malapena quanto la cena in birreria.

Dopo una quindicina di minuti ad ammirare la vallata di smeraldo dalla cabina sospesa, il tempo ha iniziato a peggiorare. Siamo scesi davanti al rifugio M’Eating Point, a 2.400 metri di quota. Rispetto a valle, il dislivello termico lassù era sensibile e una pioggerella fredda e tagliente aveva preso a mescolarsi con il vento.

Eravamo nel punto nevralgico del Bike Park: da lì si dipartivano dodici diversi tracciati da mtb, più diverse passeggiate di montagna.

Era il momento di cominciare l’avventura: la mia prima discesa! Certo, insieme all’eccitazione c’era anche un po’ di fifa… ma il tracciato numero 11 del bike park si chiamava Take It Easy, e avevo tutte le intenzioni di prendere alla lettera quel suggerimento.

Downhill: un respiro profondo e giù nel vento, sul sentiero sterrato

Nel downhill non ci si siede sul sellino”, spiegava la guida, “bisogna stare in piedi con i pedali alla stessa altezza e le ginocchia appena un po’ piegate”.
Bene, fin lì era facile. Dopo mezzo minuto però mi facevano male gli avambracci e i dorsi delle mani.
Tieni il peso sulle gambe. Se ti sporgi in avanti ti stanchi e rischi di sbilanciarti
Ah. Ok, ci sono.

Tieni gli indici sempre sui freni e impugna il manubrio con le altre dita. Non fare frenate brusche, cerca di dosare il freno per avere esattamente la velocità che vuoi”.
Eh? Frenare con un dito solo, com’è possibile?
Ma aspetta, il freno è morbidissimo!

L’indice basta e avanza. Niente frenate brusche…okay. Che storia! “Un piccolo trucco: quando c’è una curva stretta o un ostacolo, sposta lo sguardo più avanti, nel punto che vuoi raggiungere dopo”.

La foto della mia prima volta in mtb a fare downhill al Mottolino Bike Park

Prati e rododendri correvano di fianco al sentiero, mentre cercavo di assimilare le indicazioni della guida. Non è facilissimo modificare un abito mentale consolidato come la posizione da tenere in bicicletta. Abitudine, istinto, memoria muscolare: prima di quel giorno avevo sempre fatto movimenti diversi, su due ruote.

E poi c’era la paura di sbagliare e farsi male. Quella per me è stata forte, soprattutto all’inizio: sussultavo ogni volta che in mezzo al sentiero vedevo una pietra o una radice scivolosa per la pioggia. Insomma, il cocktail della prima discesa è strong: mezzo bicchiere di strizza, un terzo di feroce concentrazione e appena una spruzzatina di dolci promesse.

Ma quando vuoti il bicchiere, hai subito la sensazione che la seconda volta avrà tutto un altro sapore.
E non ti sbagli.

È difficile da spiegare, ma appena sono riuscito a lasciarmi andare e a fidarmi della mtb, è stato come se tra me e lei si creasse un legame. Ha iniziato a scivolare agile sul sentiero sterrato. Curvava prima ancora che io piegassi il manubrio, mi assecondava quando rallentavo per poi lanciarsi giù per i rettilinei come una puledra di razza.

Buche, sassi e radici si trasformavano in carezze sotto le ruote. È stata una sensazione quasi lussuriosa.

Più tardi al M’Eating Point, mentre cercavo di calmare l’entusiasmo con un misto di affettati locali e un piatto di filanti pizzoccheri, ho dovuto riconoscerlo con me stesso: ormai era fatta, ero entrato nel tunnel della mtb.

Non so se ne uscirò. Ma di sicuro so dove sarò il prossimo giugno!

Testo originale di Livio Gambarini (liviogambarini.blogspot.it)

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