Foto di Nicola Damonte, Matteo Lombardi, Giovanni TabbòALTA VIA STAGE RACE 2014: THE “HARD” TALE Matteo Lombardi 30 Novembre 2014 Eventi News Un’indimenticabile esperienza di riding di inizio estate… Il solito tragitto da Novi Ligure al Monte Alpet Bike Village per andare a fare gravity con gli amici, attraversando la Liguria in autostrada. Qualcosa, però, è diverso. Dopo l’esperienza dell’Alta Via Stage Race dello scorso giugno non riesco più a guardare i monti liguri allo stesso modo. Ogni volta che l’occhio si distrae e punta verso le cime dell’Appennino, un mare di emozioni e ricordi mi pervade. Nove giorni, otto tappe, 500 km di sviluppo, 19.000 metri di dislivello. Ci è voluta l’estate per riprendersi da questa esperienza, per far riposare le gambe, ma soprattutto per riordinare le idee per riuscire a riassumere in queste poche righe una serie di sensazioni, panorami, profumi, sapori e tante persone che oggi sono diventate degli amici. In concomitanza con l’apertura delle iscrizioni all’edizione 2015, è venuto il momento di vuotare il sacco, di raccontarvi una volta per tutte questa indimenticabile esperienza. Sì, perché l’Alta Via Stage Race (AVSR) cambia la vita: è estrema quanto basta per mettere a dura prova il cervello, prima dei muscoli. Intensa al punto giusto per spingere a fare introspezione, ritrovare sè stessi e fondersi con la natura dei luoghi attraversati. Una gara che mette a dura prova ogni elemento della bici, fino all’ultimo degli accessori. Non aspettatevi solo un diario giornaliero, né la marchetta. Ho deciso di raccontarla come fosse la mia compilation musicale preferita: 10 pezzi densi di riflessioni e autentiche emozioni. Se alla fine della lettura avrete anche voi qualcosa da dire, tanto meglio: attendo volentieri le vostre considerazioni. Un consiglio: se vi accingete a leggere queste pagine e a scorrere la photogallery, mettete su i Greatest Hits dei Queen! Perché? Beh, leggete e capirete. E se poi volete gustarvi qualche video-intervista esclusiva ad alcuni dei protagonisti non vi resta che collegarvi sulla mia pagina Vimeo… ne vedrete (e sentirete) delle belle! Non vi ho ancora convinto? Beh, provare per credere. 1. Prepararsi all’AVSR: un’impresa nell’impresa Mai prendere nulla sotto gamba! Anche quando si crede di essere Iron Man. Partecipare a una gara di questo tipo richiede allenamento in primis – lapalissiano – ma è altresì fondamentale avere la bici giusta e preparata in maniera adeguata e un equipaggiamento consono; il che include anche accessori da campeggio, un abbigliamento e un’attrezzatura specifica per la gara (riding, trekking, primo soccorso), ma anche per le notti in tenda. Nessun dettaglio va trascurato, nulla deve essere preso alla leggera. Le giornate di preparazione sono quindi trascorse – oltre che sui trail di casa per cercare di potenziare il fiato e le gambe – davanti al computer e al telefono: già, perché volevamo anche testare una serie di prodotti adatti ad affrontarne tutte le insidie e gli imprevisti. Sistemato l’equipaggiamento, bisognava affrontare alcune delle principali problematiche. Con quale bici partecipare? L’idea era di dotarsi di una front da enduro (di qui l’idea del titolo), magari con ruote da 29” e il telaio in acciaio. Purtroppo, dopo aver contattato varie aziende per ottenere un modello in prova e dopo altrettanti rifiuti mi sono trovato a dovermi arrangiare. Grazie ad un amico riesco a recuperare una Cotic montata con componentistica di tutto rispetto, sulla quale avrei potuto installare i pezzi inviatimi in prova. Tiro un respiro di sollievo e mi concentro sugli ultimi preparativi, che includono un check della bici in compagnia del mio amico Tomas Olivo e due birrette: tutto sembra a posto. Tomas però è dubbioso e mi confida che secondo lui la trasmissione e il movimento centrale potrebbero darmi qualche problema. “Nevermind!” dico io, “vedrai che tutto andrà per il meglio!” Dormo male, l’attesa è snervante. Penso anche al mio cane Balto che dovrà fare a meno di me per 8 giorni: un santo! Finalmente arriva l’alba del 13 giugno: carico i bagagli sul Vitara e le bici sul porta-bici Norauto che potrò meglio testare in questa occasione. Nel primo pomeriggio vado dal medico sportivo per il necessario certificato e, finalmente, lascio Novi Ligure alla volta di Bolano, in provincia di La Spezia. Il Vitara è stracarico tra equipaggiamento e materiali test. L’asfalto scorre veloce in una bella giornata di sole e caldo. Passo l’Appennino e sono a Genova: sullo sfondo di un mare blu, la macchia mediterranea mi lascia vedere uno scorcio di quello che sarà uno dei paesaggi che attraverserò nei giorni seguenti, bellissimo. Uscito dall’autostrada a La Spezia mi dirigo verso Bolano ma il navigatore satellitare fa le bizze e mi porta a sua discrezione su una strada secondaria che si inerpica per i monti, per finire in un tratto interrotto per frana a 3 km dal paese. La tecnologia aiuta, ma in questo caso la “cantonata” di messer navigatore mi fa perdere un sacco di tempo. Arrivo in ritardo al check-in e faccio appena in tempo a regolare l’iscrizione che già devo correre a cena, il che vuol dire che trascorrerò la prima notte quasi in bianco per recuperare il tempo perduto, ricaricare le batterie di tutti i dispositivi, organizzare l’equipaggiamento sulla bici e in tenda. Per fortuna l’organizzazione è da subito perfetta e il campo allestito nell’area verde presso il campo sportivo di Bolano è accogliente. Tutti mi accolgono calorosamente e la cena è peraltro ottima. Avverto da subito un’atmosfera positiva che caratterizzerà tutti gli 8 giorni di gara. Tra un piatto di pasta, una costina e qualche bicchiere di ottimo vino ho anche il tempo di scattare le prime foto e di entrare in contatto con gli organizzatori e lo staff tecnico. Segue il primo importante briefing, durante il quale Lorenzo Carlini – il direttore di gara – illustra il regolamento e presenta la prima tappa: c’è anche un video nel quale Simone Catassi (assessore presso il comune di Pigna [IM], oltre che gran pedalatore ed endurista che ha tracciato col GPS tutte le tappe della gara, ndr) presenta nel dettaglio il percorso dell’indomani. Non sa ancora che di lì a qualche giorno le sue celebri presentazioni gli faranno attribuire un soprannome che resterà nella storia dell’AVSR. Le poche ore di sonno rimaste a disposizione prima della sveglia alle 6:00 sono agitate. L’emozione si fa sentire sempre di più e nella testa continua a girare una domanda: “sarò davvero all’altezza?”. 2. Lunga vita a Gary Fisher! Non sempre l’allestimento “bling bling” di una bici corrisponde alla sua reale efficacia, soprattutto se la manutenzione lascia a desiderare! Aprite gli occhi, a maggior ragione quando non siete dei Pro. Siamo al primo giorno di gara: il sonno non è stato sufficiente, lo sguardo uscendo dalla tenda è annebbiato. “Ma chi me lo ha fatto fare di restar sveglio così fino a notte fonda!”. Per fortuna che c’è il momento colazione. La Pro-Loco e il Comune di Bolano si sono attivati alla grande: pane, Nutella, caffè, burro e marmellate sono a disposizione dei partecipanti. Mai come oggi comprenderò l’importanza di una sana colazione mattutina prima di fare attività sportiva, ma bisogna anche non abbuffarsi troppo visto che le conseguenze potrebbero essere tragiche. Nel frattempo lo staff si sta organizzando con i trasporti. Manca una macchina per il direttore di gara, così propongo a Lorenzo Carlini di usare il mio fuoristrada: il mezzo gli permetterebbe di muoversi agilmente su tutti i terreni e in più arriverebbe fino alla fine del percorso senza obbligarmi a fare ritorno a Bolano per recuperarlo e rientrare a casa. Lorenzo guarda il mio mezzo e i suoi occhi mi dicono subito che non ne farà più a meno fino ad Airole, dove arriverà veramente “dirty”, complici anche Davide e Giovanni dello staff medico (guardate la gallery!). Il mio mezzo e il porta-bici si riveleranno utili anche per recuperare concorrenti ritiratisi in luoghi non sempre facilmente raggiungibili, trasportati in ogni maniera e talvolta “accatastati” nella parte posteriore del mezzo, per l’occasione convertita in modalità autocarro (guardate la gallery!). Finito di mangiare, si controlla l’equipaggiamento; un ultima occhiata a sospensioni, pressione gomme, ecc. ed è già il momento di radunarsi per la partenza. Siamo in tanti, le chiacchiere aiutano a far calare la tensione, ma l’emozione è fortissima. Ci si trova tutti in centro a Bolano, foto di rito, poi conto alla rovescia e…VIA! Cominciamo subito con la prima delle mille “rampette” (di seguito ne troverete la definizione, ndr) che ci accompagneranno fino alla fine dei giochi, ad Airole, dall’altro capo della Liguria. I veterani dell’AVSR, arrivati alla terza edizione, partono spediti: chi ha la gamba ci dà dentro mentre io, che sono tra i fermi, parto con estrema calma cercando di risparmiare le energie; d’altronde sono qui per fare il reporter. Vincere questa competizione è da pro: mi accontenterò di sopravvivere. Sopravvivere, non ho usato un verbo a caso, perché fin dalle prime salite quei “problemini” alla trasmissione segnalatimi da Tomas si riveleranno la mia condanna al patimento per le prime due tappe. Regolata male e consumata peggio (nello specifico la cassetta, ndr), si rivela inservibile nelle salite più marcate, oltre che rumorosa oltre ogni immaginazione. Non posso usare la corona da 42, perché fa saltare o scattare la catena in continuazione, quindi faccio quello che posso, meglio che posso. Se poi ci mettiamo che il mio allenamento è di livello intermedio, a metà della prima tappa sono cotto. I ragazzi delle moto di appoggio chiamano l’organizzazione per avere assistenza: prontamente chiamano il meccanico, Walter Ciampolillo, che mi raggiunge col suo furgone-officina e cerca di farmi ripartire in tutti i modi. Ormai, sono bollito, sbaglio strada e alla fine cedo: meglio ritirarsi e cercare di risolvere il problema al primo posto tappa che continuare così. Inoltre ho male al ginocchio sinistro: colpa dell’ennesimo volo con la bici da DH a Caldirola il weekend precedente.Mestamente carico la bici sul furgone e tra i tornanti della discesa verso Sesta Godano mi addormento. Il tempo d’altronde ci mette del suo: un forte acquazzone si abbatte su tutti noi verso la fine della giornata. I ragazzi arrivano fradici e i gazebo dell’accoglienza sono presto trasformati in un gigantesco stenditoio/garage/punto ristoro (guardate sempre la gallery!). Ci si rifocilla al riparo dalla pioggia, mentre sul vicino palco usato per le feste della Pro-Loco, nell’area degli impianti sportivi, il medico e i fisioterapisti sono già all’opera con olii, taker, kit di primo soccorso. Anch’io scopro i benefici effetti del taker, che con un paio di sedute mi permette già di riprendere una migliore funzionalità del ginocchio, attenuando considerevolmente i dolori. L’ufficio stampa ha nel frattempo allestito la sua sede operativa di fortuna al riparo dalla pioggia sotto i tendoni; una “centrale elettrica” di PC, prolunghe e ciabatte permette anche a noi di ricaricare i dispositivi. In breve l’atmosfera goliardica del paddock ha la meglio: l’ideale per riprendersi e procedere alla manutenzione della bici e approfittare del nostro meccanico per le prime riparazioni. Si cena avvolti da un’umidità densa, da brividi, e poi si premiano i primi vincitori di tappa per ciascuna categoria; si ripete infine il rituale del briefing per illustrarci il percorso della seconda tappa. L’acquazzone ci accompagna fino a tarda notte: la pioggia che cade fitta sulle nostre tende ci preoccupa un po’: finiremo allagati? Fortunatamente nessuno di noi va “a bagno” e la stanchezza fa il resto: tutti dormono infine profondamente, sognando la sfida e le insidie del giorno dopo. Il mattino insinua i primi raggi di luce nel campo e presto arriva la notizia che la tappa da Sesta Godano a Borzonasca sarà probabilmente variata o accorciata, causa maltempo: ecco una delle insidie dell’AVSR, purtroppo tipica dell’entroterra della Liguria, come recentemente tutti abbiamo avuto modo di vedere con le tragedie del genovese. Anche quando sulla costa il sole picchia forte e le spiagge cominciano a essere affollate di turisti, nell’interno il cielo si può coprire all’improvviso, le nuvole avvolgono le cime dell’Appenino, che tregenda sia. Parto bene, tutto sommato la prima parte della tappa con trasferimento su asfalto mi aiuta a riprendere fiducia dal giorno prima. La bici dopo i controlli sembra andare meglio e quindi la prima parte di percorso scorre tranquilla. Ma è in quota che l’acquazzone riprende, prima piano, poi ci frusta con una serie di sferzate sotto le quali andare avanti, col mio allenamento, è davvero difficile. Aggiungiamoci un freddo e un’umidità da farti sembrare nel bel mezzo dell’autunno. Resto di sasso quando i tre più veloci, partiti un’ora dopo di noi col gruppo dei pro, ci sverniciano a trenino su una delle ultime salite verso il Passo di Cento Croci. Nel frattempo sono ricominciati i problemi: la trasmissione è tornata ad essere rumorosa, lenta e imprecisa nei cambi di rapporto. La corona da 42 denti ricomincia ad essere inservibile. Arriviamo al Passo del Bocco, poi proseguiamo verso il Passo del Ghiffi, dove chi non vuole o non se la sente – causa mal tempo – può decidere di prendere una deviazione asfaltata che gli permetterà di raggiungere più direttamente Belpiano, sopra Borzonasca, punto di arrivo di tappa 2. Sono stanco, la bici non ne vuol sapere di andare e anche questa volta cedo: scendo a valle mesto e solo la discesa verso Borzonasca, coi suoi sinuosi tornanti che scendono in una stretta e suggestiva vallata mi fa dimenticare per un attimo la delusione di questo secondo ritiro. Mi vengono a recuperare nel centro del paese per trasferirmi a Belpiano. Arriviamo tutti alla spicciolata, bagnati, stanchi e infreddoliti. Per fortuna l’organizzazione ci fa una sorpresa: stasera si dorme in camerata! Beh, non sarà praticissimo lo stesso, ma almeno si sta lontani per una notte da pioggia e umidità. Ho bisogno come tutti di una doccia, di riposarmi e farmi massaggiare; finito ciò c’è da fare il bucato, ma fondamentalmente devo prendere una decisione. Non posso continuare così, devo cambiare bici: ma come faccio? Sto per disperare, quando Walter si offre di prestarmi una delle bici che ha con sé nel furgone-officina. Accetto volentieri di vederla e, quando le porte del furgone si aprono, mi ritrovo davanti una Gary Fisher con forcella Manitou da 160 mm, montata con sistema 3×9 con i comandi del cambio sulle manopole, freno anteriore a disco e posteriore a pattino. Non è proprio il top, ma tutto sommato la bici è ok e, mi dice Walter, funziona bene. “Avrebbe solo bisogno di un po’ di pimpaggio”, dico io, quindi ecco l’idea che propongo a Walter: di due bici ne facciamo una, non la migliore del mondo ma sufficientemente a posto per proseguire senza altri intoppi. Walter lavora fino a tarda notte e riesce a terminare il lavoro e la messa a punto in maniera impareggiabile. Non ho parole per ringraziarlo. Gli porto del pane, una bottiglia di vino ed un piatto di pasta. Si scherza sull’indomani. Ora sì che posso provare davvero a continuare. Sono carico e domani sarà una grande giornata!! 3. Schiavi della tecnologia: navigatori, on board cameras, luci e dispositivi vari Ok, non prendetemi per antico o folle ma nessuno deve perdersi in una conca fangosa nel nulla cosmico. Se non fosse una pazzia, sarebbe utile ritornare al buon vecchio sistema delle carte dettagliate, coadiuvate dai soliti cartelli o segnali, posti nei punti strategici dei percorsi? Prima di riprendere il racconto, una considerazione. Da buon archeologo io sono un biker all’antica. Non ho mai usato un navigatore e di solito mi oriento seguendo punti di riferimento noti, consultando le carte, seguendo l’istinto. Tuttavia in una gara come l’AVSR se n’è reso fondamentale l’utilizzo; inoltre abbiamo capito bene come sia meglio avere sempre il cellulare carico e come non si possa fare a meno di una serie di altri dispositivi (primo fra tutti quello d’illuminazione serale/notturna, sia in bici che in tenda) che consumano energia e che richiedono una ricarica costante per funzionare. Non mi ero mai davvero reso conto di tutto questo. Ma quando si partecipa ad una gara come l’AVSR, quando si è in tanti, quando si dorme in tenda, non è facile organizzarsi per avere sempre a disposizione un punto di ricarica comodo e pratico per tutti. Il maltempo può essere poi un problema serio, perché bisogna fare in modo che nulla vada “a bagno”: le tappe di Sesta Godano, Borzonasca e Bardineto hanno reso ben evidente questa problematica, costringendo gli organizzatori ad arrangiarsi inventando sistemi spartani, benché funzionali (guardate la gallery!), per offrire a tutti la possibilità di mantenere le batterie sempre al 100%. Mi chiedo a questo punto quanto tutto questo abbia a che fare con la vera MTB, quanto tolga spazio alla vera avventura e faccia progressivamente inaridire la nostra capacità di orientarci autonomamente. In gara tutto ciò è emerso in modo clamoroso: persone ferme perché il navigatore era scarico, altre che si sono perse perché il navigatore aveva indicato per qualche minuto (o per un’ora) la direzione sbagliata. Ne sa qualcosa il povero Paolo Mancuso, che proprio grazie all’errore del navigatore ha perso la possibilità di restare con i primi e, forse, di vincere la tappa Bardineto-Pornassio. Ne sappiamo qualcosa io e l’amico Paolo Ferrara, che a causa di un errore nella segnalazione di una svolta ci siamo ritrovati a pedalare 10 km in più di salita prima di incrociare la corretta discesa verso Ceranesi, durante la terza tappa. Altri navigatori non funzionavano bene per problemi di compatibilità con le tracce GPS fornite, risultando in questa maniera ugualmente inservibili. Dove voglio arrivare? Al fatto che la tecnologia ci ha considerevolmente facilitato la vita ma ne siamo progressivamente diventati schiavi, togliendo forse a una competizione come quella dell’AVSR una parte di quello “spirito di avventura” che la caratterizza così bene. E se poi anche il navigatore sbaglia strada, perché usarlo? Ormai esistono dei dispositivi che permettono di ricaricare il proprio navigatore, cellulare, ecc. mentre si pedala (qua un esempio), ma non riesco a immaginarmi una MTB trasformata in una centrale elettrica per l’occasione! Non voglio fare il retrograda, vorrei solo stimolare una riflessione, magari un dibattito semi-serio. 4. Chi trova un amico, trova un tesoro Da quando c’è il ciclismo non è mai esistito un campione senza un gregario, un rider senza un compagno di avventura. Ho il piacere di fare XC con gli amici “Cinghiali” di Novi Ligure, DH con Tomas Olivo e, da questa AVSR 2014, ho il piacere di aver conosciuto Paolo Ferrara. Correre l’AVSR al suo fianco è stato un onore, oltre che un divertimento senza pari. Le tappe da Borzonasca a Ceranesi e da Ceranesi a Varazze sono state per me le più belle e divertenti di tutta l’AVSR 2014. Non è solo per la bellezza di questi percorsi e fantastiche discese nei bike park del territorio, paesaggi mozzafiato, un terreno che nel frattempo è ritornato ad essere del tipo cui sono maggiormente abituato. Soprattutto è grazie al mio nuovo insuperabile compagno di viaggio, Paolo Ferrara! Ci eravamo conosciuti il mattino della partenza della prima tappa, mentre si chiacchierava per scaricare la tensione. Ci siamo intesi da subito e da quel momento abbiamo cominciato a far strada assieme. Paolo aveva più gamba di me, soprattutto all’inizio: durante la prima tappa è schizzato via; nella seconda abbiamo fatto una buona parte di strada assieme, ma poi lui ha avuto il coraggio di proseguire al bivio del passo del Ghiffi, mentre io avevo scelto il ritiro. In quell’occasione era arrivato ultimo, ma ce l’aveva fatta: lo avevo aspettato a lungo all’arrivo e mi ero complimentato con lui per la forza e la determinazione con cui aveva resistito alla pioggia e al freddo, al fango di Prato Mollo e alle difficoltà dell’ultima discesa sul bagnato. Quella sera abbiamo condiviso una cena memorabile, abbiamo mangiato come cinghiali e bevuto abbastanza da allontanare il freddo e l’umidità della giornata. Da quella sera, fino a Varazze, abbiamo fatto coppia fissa. Non ero più in gara da solo, ora eravamo un team: squinternato quanto basta, goliardico e scanzonato. Ecco uno dei regali che l’AVSR ti fa: trovi tanti amici e alcuni diventano talmente importanti da rimanerti per sempre, anche se a distanza. Insieme abbiamo affrontato e vinto la pioggia, le intemperie, il fango, le difficili discese dalle montagne sopra il genovese, dove i sentieri diventano delle linee strette e infestate dai rovi (i nostri polpacci martoriati rendono bene l’idea). Abbiamo resistito sul serpente d’asfalto che ci portava al Passo del Faiallo, poi sui tratti durissimi di portage per arrampicarci fino alle pendici del Beigua, ci siamo divertiti a scattare foto e selfie dovunque ne valesse la pena. Spesso insieme ai ragazzi delle moto di appoggio con cui si scherzava e si chiacchierava nelle pause. Abbiamo condiviso i panini alla frittata dei ristori, la focaccia stipata negli zaini per non rimanere a secco durante le nostre “pause intermedie” e ci siamo emozionati davanti ai panorami dell’entroterra genovese che si perdono fin dentro il mare, nella nebbia delle montagne vicino al Beigua. Ci siamo scolati d’un fiato una serie memorabile di birre sul lungomare di Varazze, sfiniti dopo una delle tappe più dure. Abbiamo vissuto una AVSR diversa, formato “take it easy”, con il piacere farlo assieme. Ora capisco davvero l’importanza del “gregario” nel mondo del ciclismo. Correre l’AVSR in solitaria è davvero un’impresa da titani. Meglio essere in due. Qualunque cosa accada potrete sempre contare su chi vi sta a fianco, quindi grazie Paolo! 5. Il grande botto tra discese mozzafiato e la consapevolezza dei propri limiti Non c’è discesa senza salita. Alcune salite durano un’eternità, le discese che seguono, spesso, valgono una vita. Non sempre si può andare a bomba. Il ritiro dalla competizione può far parte di un’avventura come quella dell’AVSR, una gara che insegna a diventare più consci dei propri limiti, a capire quando è il momento di dire basta in uno sport come il nostro. Farsi male per avventatezza, stanchezza o malriposta autostima è stupido e controproducente: ne so qualcosa io a proposito del DH e la mia spalla sinistra è qui tutti i giorni per ricordarmelo. La tappa Ceranesi – Varazze è stata qualcosa di epico. Se le salite affrontate per arrivare fino al Beigua sono state davvero impegnative, il fatto di avercela fatta e di essere arrivati in cima ci ha ampiamente ripagato delle fatiche. Il percorso è stato senza dubbio uno dei più completi: dai tratti scorrevoli alle pietraie più infestate, dal caldo tipico del litorale ligure alla nebbia e al freddo delle vette dell’Appennino, dai tratti di portage ripidi e duri alle discese veloci e divertenti finalmente, dopo giorni di gloria per gli scalatori, anche noi appassionati della discesa era arrivato il momento di usare i nostri talenti. In più, a inizio tappa avevo perso la lente a contatto dall’occhio destro. Ve lo immaginate? Percorrere la bellezza di 67 km con la vista al 50%? Il divertimento vero è iniziato sulla cima del Beigua con alcuni tratti facili, veloci e molto scorrevoli. E’ continuato all’interno del Beigua Bike Park, tenuto perfettamente in efficienza dagli amici del Beigua Insane Tribu ASD. Un toboga con curve, sponde e piccoli salti nel bosco ci ha esaltato nel primo tratto; poi una discesa più impegnativa e rocciosa verso il comune di Alpicella, per finire con la monumentale FS. È su questo ultimo tratto che mi sono lasciato andare per davvero, specialmente quando mi sono accorto che un gruppetto di riders di Livellato che ci aveva sverniciato in salita e che aveva ben 15 minuti di vantaggio all’inizio dell’ultimo trail era ormai a tiro. Su un tracciato infestato di rocce dure e aguzze come lame, con qualche salto qua e là, ho lasciato da parte ogni inibizione. Esagero, e su un gradone di roccia provo a fare un’ollata che forse avrei dovuto evitare: smuovo delle pietre, atterrando la forcella mi si impunta, va a pacco e cado rovinosamente in avanti. Batto la testa, una pietra mi sfila la protezione sull’avambraccio destro e mi apre un bel taglio longitudinale. Per un secondo mi blocco, ho paura di essermi di nuovo rotto qualcosa. Paolo nel frattempo è rimasto indietro, era stanco e non ce la faceva davvero più. Lentamente mi rialzo e attendo ancora qualche istante, cercando di verificare di essere ancora intero: per fortuna il casco ha funzionato a meraviglia. A parte qualche abrasione sulla calotta è ancora integro: la mia testa sentitamente ringrazia. A questo punto mi decido: “Non mollerò di certo ora!” Risalgo in sella e mi ributto giù verso Varazze. I ragazzi di Livellato si avvicinano, ora li vedo a distanza, cerco di andare più forte che posso, arrivo a un guado prima dell’ultima salita e li ho veramente nel mirino … Purtroppo ho fatto male i conti con le mie energie e mollo tragicamente sulla salita che precede la fine del tratto cronometrato e i ragazzi nel frattempo sono scappati! Raggiungo il traguardo, dove mi attendono con trepidazione. Mi fermo per aspettare Paolo, che arriva molto dopo in compagnia della moto d’appoggio, è davvero sfinito. Scendiamo assieme su Varazze e all’arrivo ci buttiamo sul lungomare per riprenderci. La sera Paolo mi confida di voler mollare, che l’AVSR non fa per lui e resto di sasso, tento in ogni modo di convincerlo, ma nulla da fare. Il giorno dopo, infatti, riparte per rientrare a casa. La sua reazione di primo acchito m’infastidisce: c’eravamo detti che saremmo arrivati insieme alla fine, comunque, anche a passo di lumaca. Poi, durante la tappa Bardineto-Pornassio – dopo aver scalato il monte Galero con un portage che ha messo in crisi i miei nervi e riuscendo ad arrivare alla fine del percorso solo grazie al supporto di Donato Maritano (partecipante all’AVSR con la formula Week-end) – ho capito che, in fondo, anche la scelta di Paolo era da considerarsi ragionevole. Il giorno seguente, la caviglia sinistra avrebbe definitivamente ceduto, costringendomi a saltare le ultime due tappe e ad arrivare ad Airole su quattro ruote. 6. 26” VS 29” All’AVSR non c’è gara: le 29” volano, il carbonio è leggero, ma alcuni crack mi hanno dato molto da pensare. Vuoi vedere che le 27,5 saranno davvero l’ago della bilancia, almeno per questo tipo di competizioni? L’AVSR mi ha sicuramente fatto capire che, se si vuole salire veloci e pedalare sciolti e sicuri su tutte le asperità, le 29” non hanno ormai rivali: volano sul fango, passano sopra le pietraie con una facilità imbarazzante e vanno più forte delle 26”, tanto più forte. Paolo Ferrara mi ha fatto penare e non poco per stargli dietro su molti tratti dei percorsi: una sua pedalata valeva due delle mie. Figuriamoci i pro come Stefan Hutmacher, vincitore di questa edizione 2014. Se poi abbiniamo a una ruota da 29” un telaio in carbonio, in salita e sui tratti molto tecnici la sua leggerezza è un validissimo aiuto per andare più lontano. Ciò detto, però, le discese impegnative che hanno caratterizzato le ultime tappe, sommate ai molti km percorsi, hanno evidenziato alcuni (gravi) punti deboli di questo sodalizio carbonio/29”. Ne sono stati prova cerchi piegati di frequente e il crack di alcuni telai; come quello che a Pigna, durante la penultima tappa, ha stoppato uno degli spagnoli del team Cyclestore, interessando la zona di giunzione dei foderi bassi del carro. Tutti hanno confermato che questa non era la rima volta che un simile problema interessava il telaio di questo modello, che sembra il frutto di un errore in fase di progettazione. Volete sapere come lo spagnolo ha corso la sua ultima tappa, dopo aver compromesso il telaio della sua Epic? Beh, con la Gary Fisher! Sì, perché a Pigna io ero ormai KO e, d’accordo con gli organizzatori, gli ho passato la “mia” bici che – nonostante i limiti ormai evidenti delle sue quote un po’ vecchiotte e del diametro da 26” – non ha MAI avuto il benché minimo problema, andando alla grande (incluso il “botto” di Varazze) proprio su quelle discese dove le 29” hanno patito di più. 7. Il Rampetta Fan Club L’AVSR è unica per l’atmosfera che si crea tra rider: si lotta da soli contro il tempo, ma si arriva INSIEME alla meta. E se ad attendervi all’arrivo o a pedalare con voi c’è anche la persona che amate, beh, allora la magia raddoppia! D’altronde, come diceva Ligabue, “abbiam donne pazienti, rassegnate ai nostri guai”. Non tutto il male viene per nuocere. Lo stop per problemi fisici durante le ultime tappe ha fatto sì che mi dedicassi più intensamente al lavoro di reporter per Bicilive, approfondendo la conoscenza dello staff dell’AVSR e in particolar modo dei protagonisti, che sono ormai divenuti per me i membri del “Rampetta Fun Club”. È venuto quindi il momento di capire di che club si tratti, a cominciare dal termine “Rampetta”: l’idea si era fatta strada nella mia testa durante le prime presentazioni video di Simone Catassi, che aveva l’abitudine di chiamare “rampette” alcune delle salite più impegnative, presentandole come difficili ma fattibili senza grossi problemi, anche quando la pendenza arrivava al 70%. Avrei voluto davvero vederlo su quelle “rampette”, che per noi sono state un inferno. E non lo dico solo io, ma lo dicevano i pro. Così, come se niente fosse, ho cominciato a chiamarlo simpaticamente “Rampetta” nel paddock, poi la cosa ha preso progressivamente piede e tutti hanno cominciato a chiamarlo allo stesso modo. Rimarrà negli annali la sua accoglienza trionfale alla serata nello splendido forte di Pornassio, con tanto di coro: “Rampetta, Rampetta, Rampetta!”. Simone, rassegnati, ormai entrerai nella storia dell’AVSR come Mr. Rampetta! Come detto, non tutto il male viene per nuocere. L’argomento diventa uno dei topic delle chiacchierate serali, e scherzare sulle difficoltà reali dei percorsi aiuta a rilassarsi. Attorno ai termini “rampetta” e “zio” si è formato a poco a poco un gruppo affiatato che comprendeva, oltre che molti di noi, una buona parte dei membri dello staff. Un gruppo variegato, quello dei rider “Rampetta Fan Club”: ci sono eroi navigati come Paolo Mancuso, Enrico Cossetto e Denis Tognoni, campioni veri dai quali non c’è altro che da imparare. Ci sono le coppie che corrono assieme, come quella di Alessandro Turati e Francesca Miraglia; ci sono le coppie come quelle formata da Guido Pighi e Marta Mathieu, con lei che attendeva pazientemente l’arrivo della sua metà a fine tappa, confessandoci simpaticamente le sue “frustrazioni” da fidanzata di rider in una delle interviste che potete godervi nel teaser. Ci sono i giovani talenti, come Federico Scotto, Stefano Parodi e Matteo Rochon, che hanno dato al gruppo la giusta carica, mettendo in evidenza qualità agonistiche ed umane che non potranno che farne dei campioni di domani, nello sport e nella vita. Ci sono infine anche tanti stranieri – francesi, belgi, tedeschi, svizzeri – che hanno portato nel gruppo una fetta della loro cultura, godendo, in cambio, della nostra compagnia e di quei paesaggi che tutto il mondo ci invidia e che solo noi sembriamo non apprezzare fino in fondo. Origini diverse, esperienze diverse, percorsi diversi, ma un comune denominatore: lo spirito autentico della MTB! Da ciascuno di loro ho imparato qualcosa, che porterò per sempre con me per migliorarmi come uomo e come rider: grazie ragazzi! 8. Dietro le quinte: la grande famiglia dall’AVSR e l’importanza del Volontariato Tra lettini per massaggio, moto da trial, notti in officina, intere giornate su tastiere, comunicati e “tempi sul giro”: sfogliate la gallery e godetevi le video interviste! Tra amministrazioni allo sbando e conti in rossissimo, nel nostro Paese l’unica cosa che sembra ancora funzionare bene è il Volontariato! Non smettiamo mai di riconoscerlo e di sostenerlo! L’altra faccia della medaglia del “Rampetta Fan Club” non è fatta di gente che pedala in salita o fa lo scavezzacollo in discesa, ma da persone che hanno faticato forse più di noi per 9 giorni, al fine di rendere l’esperienza AVSR davvero unica ed indimenticabile. Parlo dello staff tecnico: Anna Maria Messina con la sua famiglia, che sono stati l’anima di questa manifestazione, spendendo giorno e notte tra organizzazione, logistica, allestimento dei campi tenda, trasporto e coordinamento di tutti gli altri “reparti” dello staff; Vanessa Chiesa che ha curato l’ufficio stampa con competenza e simpatia, oltre che essere poliglotta, virtù che l’ha trasformata in traduttrice simultanea per tutta la durata dell’AVSR. Parlo dello Staff di Nicer s.r.l. – composto da Diego Decarli, sua figlia Bianca e Lucia del Favero – che ha garantito un’adeguata copertura mediatica dell’evento per tutta la sua durata. Parlo dello lo staff medico, composto da Giovanni Tabbò – che è stato, oltre che medico, anche autista, fotografo, ecc. –, Davide Russo e Maurizio, fisioterapisti con la F maiuscola, senza i quali credo che sarei morto di crampi dopo la seconda tappa. Parlo di Walter Ciampolillo, il meccanico dell’AVSR che ha saputo fare miracoli con un furgone e la sua magica officina, recuperando persone rimaste bloccate in luoghi quasi irraggiungibili, lavorando intere notti per rimettere insieme bici seriamente danneggiate o con gravi guasti meccanici. Senza l’aiuto di ciascuno di loro, nessun partecipante sarebbe mai riuscito ad arrivare alla fine. Ma non c’è solo questo: le serate trascorse assieme a Giovanni, Maurizio, Davide, Bianca, Lucia e Walter sono state davvero qualcosa di speciale, qualcosa che è andato oltre la collaborazione professionale e che ci ha permesso di formare un gruppo di “zii” allegro e affiatato. Indimenticabili le serate a Varazze (solo noi sapremo perché!) e a Pornassio, per non parlare di quella di Pigna. Anche questo è AVSR. Non è tutto. Il lavoro dello staff dell’AVSR sarebbe stato vano senza l’apporto decisivo di decine e decine di volontari che si sono alternati lungo i 500 km della competizione per dare ai partecipanti assistenza, ristoro, soccorso e supporto logistico. Ricordo, tra tutti, i ragazzi delle moto di appoggio e specialmente Massimo e Federico, che mi hanno pazientemente atteso e supportato durante le tappe, visto e considerato che sono stato quasi sempre la “scopa” del gruppo. Non posso dimenticare il mitico Claudio Simonetti di Casatorre, che ha coordinato i gruppi di volontari lungo il percorso – Alpini, CAI, Protezione Civile, numerosi Bed & Breakfast, Rifugi e chi più ne ha più ne metta – colui che ha collaborato a garantire ristoro e soccorso quando necessario e, innanzitutto, si è fatto sempre promotore delle bellezze paesaggistiche e storiche dell’Alta Via dei Monti Liguri: restate sintonizzati perché mi piacerebbe iniziare con lui una collaborazione volta a farvi conoscere meglio gli immensi tesori che l’entroterra ligure possiede, tutti da scoprire in sella alle nostre MTB, ovviamente! Per finire, uno degli aspetti più belli del volontariato all’AVSR: i giovani! È stato davvero emozionante – specialmente durante la tappa serale a Livellato, tempio dell’MTB nel genovese – vedere la partecipazione gioiosa di moltissimi ragazzi e ragazze per la buona riuscita di una serata, che hanno saputo animare in maniera allegra e spensierata (guardate la gallery)! A loro va un pensiero speciale, con l’augurio che possano trovare in futuro un posto nel mondo del lavoro degno del loro impegno e del loro entusiasmo! 9. God save the Queen Quattro ruote spostano il corpo, due muovono l’anima… se poi ci mettete anche un bel pezzo musicale in cuffia beh, andate da Dio! Musica: credo non ci sia un complemento migliore per andare più forte durante un’uscita in bici. Le note delle tue canzoni preferite non potranno far altro che spingerti più lontano, fornendo la giusta carica alla tua testa, dando il giusto suono ai paesaggi che ti si presentano lungo il percorso. Ecco un’altra costante dell’AVSR 2014, siccome Vanessa e lo staff non avevano portato un camion pieno di CD (l’anno prossimo faccio io il DJ, promesso!), i Queen sono stati l’unica vera colonna sonora di questa edizione. In partenza e all’arrivo, la voce di Freddie Mercury è diventata sempre più famigliare, quasi un modo per dirti, con note stupende, “Forza, ce la puoi fare!” e poi “Ce l’hai fatta, hai finito anche questa tappa! Sei a casa!” Pezzi come Another One Bites The Dust, I Want It All, Bicycle, I Want To Break Free o We Are The Champions sono entrati nella mia testa come un piacevole chiodo fisso: ora, ogni volta che le ascolto in qualche parte nel mondo, non possono far altro che ricordarmi i magici luoghi che hanno fatto da cornice a questa esperienza. Come la vetta del monte Saccarello. 10. Il Saccarello, terrazza sull’infinito, e il tramonto ad Airole. MTB non vuol dire solo pedalare off road. Vuol dire esperienza, sfida, sofferenza e gioia, fonte di introspezione, spunto di riflessione su te stesso, sugli altri, sul mondo… se ti stai accorgendo che stai pedalando troppo, fermati: la contemplazione di ciò che ti sta attorno non potrà che arricchire la tua mente, oltre che far riposare i muscoli. Penultima tappa: al mattino sono KO. La mia caviglia sinistra, gonfia come un pompelmo, mi impedisce quasi di camminare. Anche oggi non potrò partire, quindi non posso fare altro che caricare la mia bici sul carrello dell’auto di appoggio e andare a far colazione con i membri dello staff: oggi e domani farò solo il reporter. Marco Loconte (regista di video con Go-Pro e droni) mi propone di andare con lui e Nicola Damonte (fotografo ufficiale dell’AVSR), in auto, fino alla cima del Monte Saccarello, dove scatteranno foto e filmeranno il passaggio del gruppo su una delle cime più ardue da raggiungere in MTB. L’occasione è ghiotta e almeno non starò con le mani in mano e potrò anch’io raccogliere materiale per il mio pezzo. Si sale prima su asfalto, poi si continua su una carrareccia che diventa sempre più scassata. L’auto di Nicola arranca, ma alla fine riusciamo ad arrivare fino in cima. E qui, grazie anche a una giornata splendida – caratterizzata da un cielo terso ed azzurro e da un sole caldo – le mie emozioni si sono lasciate andare. Un panorama mozzafiato a 360° accompagna il mio sguardo dalle rive del Mediterraneo fino alle prime cime delle Alpi Liguri. La statua del Cristo Redentore troneggia su una terrazza di roccia affacciata sull’infinito. Resto rapito da tanta bellezza e, mentre sono intento a guardare lontano verso l’orizzonte, Nicola mi scatta una delle foto che ritengo tra le più belle e significative della mia AVSR 2014 (non è un caso che l’abbia scelta come foto di copertina di questo racconto). L’attesa non dura molto. I più veloci cominciano ad apparire all’orizzonte, all’inizio dell’ultima salita. Marco e Nicola si mettono al lavoro, io scatto qualche foto e giro alcuni video in cui cerco di esternare le mie sensazioni, di tirare le somme di questa esperienza. Una dopo l’altra mi passano davanti le immagini di quest’avventura, accompagnate da una serie di riflessioni. Mi tornano alla mente le parole di Stefan Hutmacher, che ho intervistato a Bardineto. Che cos’è la MTB? Stefan, parlando del suo allenamento sulle Alpi Svizzere, mi ha confidato che è divertimento, voglia di evasione, sfida con sè stesso, ricerca di un’esperienza diretta con la natura. È pedalare, ma anche fare portage per raggiungere le vette più elevate. È poi fatica, spirito di abnegazione e sacrificio, soprattutto quando diventa agonismo. L’allenamento è imprescindibile, la disciplina fondamentale, il rigore nella condotta di vita assoluto (ce lo ha dimostrato bene lui durante gli 8 giorni di gara e non ha caso ha vinto!). Ma l’allenamento parte anche dalla testa, dalla contemplazione di ciò che ti circonda, dalla capacità di entrare talmente in contatto con la natura da fonderti con essa. Conoscere gli elementi per rispettarli, rispettarli per affrontarli e uscirne, se non vittorioso, almeno intero. Sul Saccarello ho capito che dopo questa esperienza non avrei più girato in MTB allo stesso modo. Mi sono accorto che, tappa dopo tappa, le esperienze vissute mi hanno aiutato a ritrovare la fiducia in me stesso dopo i brutti incidenti dell’anno prima, il coraggio di pedalare più forte, di vincere le paure che si annidavano nel mio cervello per ritrovare il gusto di divertirmi davvero in sella alla mia MTB. Salire sul Saccarello è stato come fare un’esperienza di ascesa spirituale, un luogo dove spero di poter tornare presto in bici per completare definitivamente questa catarsi. Dopo tutte queste riflessioni ero sereno, sollevato, pronto a continuare la giornata nel migliore dei modi: si riscende in direzione di Pigna e, prima di arrivare al punto di tappa, andiamo ad aspettare il gruppo a Buggio, una piccola frazione chiusa in una gola stretta e suggestiva. Un luogo che ha subito il disastro di un’alluvione particolarmente devastante qualche settimana prima, ma che non ha tolto ai suoi abitanti la voglia di preservare le tradizioni e di ricostruire e preservare il suo patrimonio paesaggistico e artistico. Il “gran pistau” (grano pestato), piatto tipico di questo piccolo centro dell’entroterra, ci ha ristorato mentre i rider arrivavano nel centro del paese dopo l’ultima discesa cronometrata, tecnica e molto impegnativa. La sera, prima di cena, trovo finalmente il tempo di attrezzarmi come si deve per le interviste: Paolo Mancuso, Eugenio Cossetto e Francesca Miraglia accettano di essere simpaticamente “messi sotto torchio”, aggiungendo le loro importanti testimonianze a quella di Stefan Hutmacher. Siamo arrivati così all’ultimo giorno. La colazione del mattino mi permette finalmente di intervistare i ragazzi dello staff medico e le ragazze dell’ufficio stampa di Nicer s.r.l. Poi salgo sul furgone di Walter per l’ultimo trasferimento nell’entroterra imperiese, alla volta dello splendido borgo di Airole. L’occasione è perfetta per provare un’intervista “on the road” al nostro meccanico, che scherza volentieri con me per tutto il tragitto. Grazie Walter, mi hai messo di buon umore pur non avendo potuto partecipare nemmeno all’ultima tappa! In attesa dell’arrivo del gruppo abbiamo il tempo di bere qualcosa in uno dei bar del paese e di visitare il suo centro storico (imperdibile). I rider alla fine arrivano ed è pronta per loro una festa memorabile, accompagnata da una mangiata a base di grigliata e specialità del territorio e, infine, da una spettacolare cerimonia di premiazione nella piazza principale. Risate, cori, commozione. Un onore quello di ricevere l’attestato di partecipazione, che orgogliosamente ho esposto in bella vista nel mio studio. Sono arrivato ultimo degli ultimi, anche a causa degli stop fisici. Ho guadagnato un’esperienza indimenticabile e una nuova “illuminazione”. D’altronde per me, come per molti concorrenti, la cosa più importante non è la meta, ma il viaggio. Le foto di gruppo mentre il sole comincia a tramontare dietro i monti della Liguria fanno da cartolina a quest’ultima giornata e non è facile salutarsi prima di ripartire, nonostante la stanchezza generale, dopo aver condiviso una quantità così grande di emozioni. Sulla via del ritorno accompagno Marco Loconte fino a Genova: durante una bella chiacchierata tiriamo le somme di questo evento. Molti aspetti si possono ancora migliorare, ma l’AVSR è senza dubbio un’esperienza che vale la pena di provare, almeno una volta nella vita. Anche se non ci si va per vincere ma solo per esplorare “un’altra Liguria”, che vi si presenterà come mai ve la siete immaginata. La prossima edizione, così mi è stato anticipato, porterà anche una serie di ghiotte novità e la possibilità di affrontare questa avventura in modalità soft, quindi aperta proprio a tutti! “Ciao Alta Via, ci vediamo l’anno prossimo!” Come nel migliore degli album, non potrei mai chiudere questo racconto senza i ringraziamenti: Grazie a Paolo (Ferrara, fratelli per sempre!), Alex e Francy, Guido e Marta (4 idoli!), Paolo (Mancuso, Iron Man), Enrico (stoico!), Denis (Toscana, ricordati di spedirmi un paio di collant!), Federico (campione!), Stefano (ti rifarai l’anno prossimo!), Donato (è stato un piacere pedalare con te fino a Pornassio!), Stefan (the king of AVSR), Olivier, Philippe, Serge e Regine (un’allegra indimenticabile fetta di Francia!) e a tutti gli altri riders che hanno fatto un pezzo di strada con me. Grazie a Giova, Davide e Maury (per i cerotti, il taker, le vostre manine fatate e soprattutto per le indimenticabili notti brave), Bianca e Lucia (le zie più belle e simpatiche del parco stampa, ma non solo), Walter (è solo grazie a te se ho pedalato ancora!), Massimo e Federico (gli unici trialisti in grado di salire fin dove “osano le aquile”), Anna Maria e Vanessa (anime infaticabili dell’AVSR), Lorenzo (Direttore, te lo sei goduto il mio Vitara eh?), Claudio (anima pulsante del volontariato) e (last but not least) Nicola e Marco (fotografi e registi senza pari). Grazie infine agli amici e ai distributori che ci hanno fornito in prova componenti, accessori e capi di abbigliamento, di cui potete già leggere o leggerete gli Scanned sulle pagine di BiciLive.it. Cébé: – Casco Trilogy ; Decathlon: – Guanti MTB 700 – Maglia AEROFIT 700 – Sacco a pelo S10° light – Materassino Forclaz A300 – Lampada ricaricabile Clic Camp con fascia e supporto per la fronte ; LARM: – Lezyne Mega Drive – Lezyne CNC Travel Drive – Lezyne Micro Floor Drive HVG – Multitool BLOX 23 – Lezyne chiave per estrazione movimento centrale EXBBT-CLT ; LDL COM: – Garmin Virb Elite – Casco Salice Spin MTB – Occhiali Salice Bike Mod. 005 ; RIE Cycle Company: – Fixit Sticks Replaceable – Hiplock Flipstand – Sella Your Air – Pedali HT Nano-P e HT EVO ME01 ; SIXS: – Maglia PRO BIKE 4 ; L’Accessorio di Alessandria: – Prodotti Motorex per la pulizia e la manutenzione della bici ; Ottica Scagliola di Novi Ligure: – Occhiali Cébé Cinetik. Photo Credits: Nicola Damonte, Matteo Lombardi, Giovanni Tabbò.