Crocodile Trophy // Racconto di chi l’ha vissuta Elena Martinello 15 Gennaio 2015 Gare Le avventure vanno desiderate, vissute e raccontate e la Crocodile Trophy è una gara a tappe che lascia il segno Ho avuto il piacere e l’onore di conoscere in Toscana un “personaggio” molto particolare. Un uomo che mi ha impressionato dalla forza fisica e dallo spirito latino, in effetti fa l’insegnante di ballo latino-americano. Una persona che di certo non si spaventa davanti agli imprevisti che una terra selvaggia come l’Australia può presentare “quando meno te lo aspetti”! Marco Mosti, Marcao per gli amici, ci racconta l’esperienza che non dimenticherà mai. In Australia si svolge una corsa massacrante in mountain bike, ed io che amo le sfide con me stesso, decido, in un inverno piovoso, di iscrivermi e di provarci. Nessuno dei miei amici mi seguirà questa volta, troppo lontano, troppo impegnativo. Andrò da solo. Un viaggio così lungo solo per una gara, sebbene di nove tappe, mi sembra un grande spreco. Decido di approfittare dell’occasione per fare anche il turismo che più amo, in bicicletta e come viene viene, improvvisando e andando a naso, sfruttando le occasioni e risolvendo i problemi man mano che si presentano. A fine settembre sono già lì e la gara partirà da Cairns soltanto venti giorni dopo il mio arrivo. Ho tutto il tempo per girare la costa allenandomi e acclimatandomi con tutta calma. Comincio ad esplorare il territorio spingendomi nel suo interno più prossimo, a ridosso delle foreste che orlano il profilo della costa e che lasciano posto agli arbusti e le sassaie desertiche dell’Outback. Parto per il nord, verso le spiagge più note della zona. Cape Tribulation è a un centinaio di chilometri da Cairns dove ho trovato una sistemazione. Ci si arriva attraversando una rigogliosa foresta tropicale dove la vegetazione è fittissima e lussureggiante. Cartelli ovunque ricordano il rischio che si corre ad immergersi nelle acque di questo oceano. Coccodrilli, squali e altri simpatici animaletti: consigliano la massima cautela. Mentre poco si può fare contro la minaccia rappresentata dalle meduse, faccio dei bagnetti da bimbo scemo a pochi metri dalla spiaggia. Abbandono la costa per assaggiare l’interno che poi sarà il teatro della competizione. Ho attraversato molti deserti nella mia vita, ma questa steppa disseminata di cadaveri di animali putrescenti di piccoli canguri, mucche e vitelli, grandi uccelli lasciati a marcire abbandonati lungo la strada, rende queste strade sinistramente inquietanti. Un caldo rovente ed una segnaletica assente, angosciano chiunque passi di qua senza un motore. Con il CT della nazionale Davide Cassani che anche lui ha preso parte alla gare. Presto finisco l’acqua. Quelli che sulla cartina sembrano paesi, si rivelano essere solo stazioni elettriche o di altra natura, ma niente che possa alleviare la mia sete. Finalmente raggiungo un bar, l’unico per centinaia di chilometri. Mi disseto ma mi mancano ancora 180 km per tornare sulla costa. Nel mezzo, il nulla. Di giorno ho visto che mi prosciugherei subito e l’acqua non basterebbe. Decido di pedalare di notte. Complice una luna sfavillante, divoro la strada e pedalando senza sosta, recupero la civiltà. L’acqua e il cibo di riserva sono appena terminate quando giungo sull’oceano. Mi sto acclimatando in fretta, le giornate sono meravigliose e senza neanche una nuvola. Stavolta vado verso il sud del Queensland alla scoperta dei suoi meravigliosi laghetti: i famosi billabong. Uno di questi è talmente quieto che decido di passarci la notte. Srotolo il sacco a pelo su uno scoglio e mi addormento fra i cinguettii più strani che abbia mai sentito. La melodia del fiume che scorre ad un passo da me mi conduce in una dimensione fuori dal mondo umano moderno. Mi sfamo, mi disseto e mi lavo nudo nel fiume come da tempo non facevo. Ora la gara è a ridosso. Entro in contatto con i primi biker giunti dall’Europa. La competizione comincia a farsi sentire. La prima tappa è un prologo di 5 giri su un circuito di 7 km a nord di Cairns. Una piacevole gimkana fra una fitta vegetazione di alberi a lungo fusto. Ho deciso di partire piano senza spremermi troppo. In una gara di distanza come questa con 800 km e 17.000 m di dislivello da percorrere è sempre bene risparmiarsi. Ho l’obiettivo di entrare nei trenta. Siamo partiti in 130 e le fasi eliminatorie cominciano da subito. Cadute, rotture, ritiri sono nella norma già dopo pochi chilometri. Il secondo giorno comincia la gara vera e propria con l’arrivo sull’altopiano del lago Tinaroo. È vera mountain bike con lunghe salite alternate a discese altrettanto impegnative. La sera quando arrivi devi montarti la tenda, fare manutenzione alla bici, a te stesso, lavarti, mangiare, lavarti il completo, il tutto recuperando le forze. Qualcuno si fa anche fare i massaggi, ma se Max Lelli, che corre in questa gara, dice che quel tipo di massaggi non serve a niente, decido di farne a meno. Mi sa che lui se ne intende parecchio. Le tappe si susseguono e io sto sempre meglio. Nessuna rottura o caduta, passo indenne da situazioni dove vedo che molti hanno problemi sia meccanici che fisici. Sono felice, tutto va per il meglio e sto risalendo la classifica. Arrivo sempre fra i primi sei di categoria e ogni giorno spendo sempre meno energie. Il paesaggio è cambiato e dalle foreste siamo tornati nell’arido panorama dell’Outback. Ma non soffro, mangio e bevo in abbondanza e recupero bene. Il sesto giorno vado così bene che comincio a sorpassare gente che non avevo mai visto con numeri molto bassi. Per passare un tedesco abbandono la traiettoria e finisco su delle rocce aguzze. Sento la gomma strisciare su una roccia. Ma non succede nulla. Procedo senza problemi, ma a 10 km dalla fine della tappa la gomma perde pressione. Metto la camera e riparto. Peccato. A sera esamino il copertone e cambio il lattice. Tutto a posto. Metto in pressione e mi corico. Al mattino è sempre gonfia quindi parto tranquillo. Pochi chilometri e mi ritrovo a terra. E qui mi accorgo dello squarcio sulla spalla sinistra della gomma. Metto la pezza e la camera d’aria. Riparto col cuore stretto in una morsa. Ma sembra tutto a posto, la pezza tiene. Recupero e sono abbastanza tranquillo. A 28 km dalla fine la gomma cede del tutto e non c’è più possibilità di ripartire. Mi lanciano anche una camera ma non tiene proprio più. Ricorro a un vecchio trucco: infilo tutto quello che trovo, erba, rovi, pezzi di gomma e camere di scorta, e anche le banane del rifornimento nella gomma ormai distrutta Con uno sforzo enorme raggiungo tutto in piedi l’arrivo, con un ritardo ormai compromettente e collasso sotto lo striscione. Mi ricoverano e mi fanno le flebo. Sono disidratato e stremato. La mia gara è finita qui. Mi rimettono a posto la bici e mi curano. La sera mi danno anche un premio speciale per la tenacia, ma dentro sono a terra. Il giorno dopo ho l’esame dal medico che non vuole darmi l’autorizzazione a ripartire. Sono distrutto e svuotato, ma non posso farlo vedere. “Sbando” anche a piedi e il medico mi revoca il permesso di correre. Lo supplico, gli dico che ho attraversato il mondo per arrivare fino in fondo. Si riuniscono e decidono di farmi partire sotto scorta medica per ultimo. Quella che era una condizione stabilita da loro si rivela una decisione che il mio corpo condivide in toto, dato che non mi permette di stare al passo neanche con gli ultimi. Parto da solo e rimango sempre da solo per 120 km. Ormai tutti mi conoscono e al rifornimento c’è sempre una borraccia con scritto sopra Marcao dove ci sono farmaci e ricostituenti. Arrivo in fondo con un ritardo preoccupante ma sono sollevato. Avevo promesso agli amici che avrei terminato e manca veramente poco: solo 35 km di crono fino al mare. La mattina dopo sto meglio, anche Cassani e Lelli mi dicono che un corpo allenato recupera velocemente, quindi di stare tranquillo. Decido di recuperare terreno più che posso e mi lancio nella crono come fosse l’ ultima gara che farò. Sto bene, passo molti di quelli partiti avanti a me, in discesa corro bene… A 20 metri dall’asfalto la lucidità viene meno… Cado violentemente, cado male, si spezza anche il tubo sella. Raccolgo i pezzi della bici e dolorante rimonto sui pedali. Mancano 5 km dei quali tre sono su una spiaggia meravigliosa dov’è posto il traguardo finale. Arrivo in fondo, ma non riesco a gioire. Dovrei ma non mi riesce. La soddisfazione di aver finito la gara è minore del rammarico di averla rovinata. Tutti fanno festa, ma io sono con la testa già al prossimo anno in cui so, dovrò tornare a rimediare ai miei errori. Questa è la mia punizione, tornare al Crocodile Trophy e domare la terra dei canguri, e solo allora sarò libero. Marcao.