La vita della mountain bike è stata costellata, sin dall’inizio, da grandi innovazioni, ripercorrendo in breve il secolare percorso della classica bicicletta.

Un lungo percorso questo, in cui le evoluzioni e le rivoluzioni sono sempre state protagoniste, per un mezzo di trasporto che, in senso stretto e in senso lato, continua a stupire e muoversi veloce verso il futuro.

In questo articolo abbiamo deciso di ripercorrere quelle che, secondo noi, sono le 10 innovazioni che hanno cambiato la mountain bike.

Un po’ di storia della mtb

La storia più accreditata per gli inizi della mountain bike vede protagonista un gruppo di amici che, nella California settentrionale degli USA, intorno agli anni ’70, iniziarono a pedalare sui percorsi off-road con bici comuni, arrangiate per l’occasione.

A questa banda di pionieri va la maggior parte del merito per il successo della moderna mountain bike. I biker ante litteram erano provenienti da Marin County, in California.

Iniziarono adattando le biciclette dei messenger e le cruiser usate dai surfisti: comode, con seduta rilassata, ampi manubri rialzati, un solo freno – perché dall’altro lato tenevano sotto braccio la tavola da surf! – ma soprattutto con gomme sovradimensionate.

Forse la vera innovazione per l’epoca fu iniziare a usare le cosiddette Klunker per la “loro” gara, Repack Downhill, che come lascia intuire il nome era in discesa.

Eh sì, la mountain bike non è nata come fatica, sudore e lacrime da spremere in salita, ma come divertimento, adrenalina ed emozioni da liberare in discesa!

Il nome Repack è indicativo, infatti, nasce dalla necessità di “re-impacchettare” i loro mozzi posteriori, con freno a tamburo integrato, dopo averli letteralmente bruciati alla fine di ogni discesa.

Anche se non sono stati i primi a usare manubri flat, freni cantilever o addirittura cambi posteriori su vere e proprie bici costruite per salire e scendere sulle montagne, diedero il via al mountainbiking così come lo conosciamo oggi.

Alcuni di questi pionieri concepirono e commercializzarono quelle tecnologie e innovazioni che costituirono i pilastri portanti della bici a ruote artigliate, di fatto, facendo passare la mountainbike da moda a vera disciplina sportiva.

Per il grande pubblico, nomi come Joe Breeze, Gary Fisher, Tom Ritchey, Charlie Kellie, Joe Murray, Charlie Cunningham, Scot Nicol e Mike Sinyard non significano molto, ma per i veri appassionati, questi sono i “ragazzi” che fecero nascere la mountain bike.

Soprattutto quest’ultimo, anche se entrò nel gruppo dei pionieri qualche anno più tardi, ha un enorme e indiscusso merito, quello di aver introdotto sul mercato di massa le prime e vere mountain bike con il proprio marchio Specialized.

Da quel momento, è stata un’innovazione dopo l’altra per circa trent’anni.

Le 10 innovazioni che hanno cambiato la mtb

Mentre il layout generale della mountain bike – con manubri larghi, deragliatore, grandi pneumatici e freni potenti – non è cambiato, moltissimi dettagli si sono evoluti nel corso degli anni con ripercussioni tali da modificare immensamente questa attività outdoor.

Ne abbiamo identificate 10, dovendo compiere una dura ma necessaria selezione, in ogni caso alla fine della top ten abbiamo lasciato spazio ad altre cinque innovazioni ed evoluzioni della mtb meritevoli di una menzione.

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Cambio indicizzato

Si può affermare tranquillamente che l’introduzione del cambio indicizzato Shimano SIS (Shimano Indexing System) nel lontano 1984 sia stata la prima grande e fondamentale innovazione nel mountainbiking.

Chi si sia avvicinato alla mtb negli ultimi anni, o comunque non conosca la storia delle ruote artigliate, dà per scontata la cosiddetta cambiata indicizzata (a scatti), ma la sua comparsa ha rivoluzionato la vita sia dei biker sia degli stradisti.

Infatti, prima si doveva spingere la singola leva in una direzione sino a quando non si era sicuri che la catena fosse salita sul rapporto desiderato e poi riportarla in posizione centrale.

Con l’indicizzazione – rapporto predefinito tra tiraggio del cavo e movimento del deragliatore o del cambio – basta una spinta sul pulsante dedicato, per salire o scendere, semplice no?

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Sospensione anteriore e posteriore

ForcellaProbabilmente i più grandi cambiamenti che hanno influenzato l’esperienza dei biker sui sentieri sono stati l’introduzione delle sospensioni anteriore e posteriore. La forcella ammortizzata (sospensione anteriore) è stata introdotta alla fine degli anni ’80 e da quel momento tutti sono stati molto felici di questa innovazione. Le forcelle non solo hanno dimostrato di aumentare il controllo dell’anteriore ma anche di rendere molto più confortevole la pedalata, e ora – a parte qualche eccezione – tutte le moderne mountain bike le montano.

Anche la sospensione posteriore è stata introdotta alla fine degli anni ’80 come le forcelle, ma hanno avuto una vita più travagliata dopo i primi esperimenti non proprio riusciti.

In ogni caso anche la sospensione posteriore ha dimostrato di tenere sotto controllo il retrotreno della bici nella maggior parte delle situazioni. Il livello del comfort del rider è notevolmente migliorato, così come avvenuto per le forcelle ammortizzate.

Esistono numerosi schemi di sospensione posteriore, servite da ammortizzatori altrettanto diversi, con relative differenze in fatto di compromesso tra performance, controllo e comfort.

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Freni a disco idraulici

I freni a disco sono stati introdotti nei primi anni ’90 e hanno iniziato sin da subito a fare una bella differenza, infatti, è stata una delle innovazioni a impattare maggiormente sulle performance e sulla sicurezza in sella.

I primi anni sono stati travagliati, le prestazioni non erano così consistenti e durevoli nel tempo, inoltre il peso non era così competitivo nei confronti dei V-Brake.

I problemi di gioventù sono però stati risolti nel corso del primo decennio di vita. Ora i freni a disco idraulici sono decisamente potenti, affidabili, leggeri e sicuri, equipaggiando la quasi totalità delle mountain bike in vendita.

freni

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Ruote da 29”

Il merito dello sdoganamento delle ruote da 29” va a uno dei pionieri del mountainbiking, l’estroso californiano Gary Fisher.

A inizio anni duemila, il fondatore del marchio omonimo propose una prima e bella serie di mtb sia front sia biammortizzate.

La storia nei primi anni è stata travagliata, con la proposta di bici a ruote grandi che vide una crisi di vendite (i tempi non erano ancora maturi).

Per fortuna lo standard 29er è stato “aiutato” sia dallo sdoganamento dell’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) nelle competizioni sia da alcune innovazioni tecniche nel corso degli anni, che hanno reso la piattaforma più solida e performante, come le forcelle con perno passante a sgancio rapido e le ruote dal miglior compromesso rigidità / peso.

Anche un grande lavoro svolto sulle geometrie e sugli appoggi hanno contribuito a rendere le 29er delle vere e proprie protagoniste del mercato attuale, così amate dai fan sfegatati e così mal sopportate da tutti gli altri… con le 29”, infatti, iniziò la cosiddetta “guerra delle ruote”, ora più che mai nel pieno delle ostilità con l’affermazione delle 27,5”, o 650b, lo standard intermedio tra 29er e 26”, quest’ultimo impiegato dalle origini sino a oggi.

29er

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Tubeless

tubelessL’era delle moderne gomme senza camera d’aria – Tubeless – è iniziata quando Mavic ha sposato la soluzione UST (Universal Standard for Tubeless). Grazie al supporto iniziale di alcuni produttori di gomme, come Schwalbe, Hutchinson e Michelin, il brand francese ha di fatto standardizzato la soluzione integrata cerchio-pneumatico che fa a meno della camera d’aria.
I vantaggi sono evidenti: maggiore volume interno con la possibilità di usare pressioni inferiori incrementando il controllo e il comfort, minore rischio di forature e pizzicature (usando il liquido sigillante).

Il peso, ancora adesso dopo anni di affinamenti, è comparabile a un sistema standard con camera d’aria, ma per usi che vanno dal cross country all’enduro un sistema Tubeless realizzato con cura, e che si affida anche a un liquido sigillante interno, è difficilmente imbattibile.

Certo, per accoppiate cerchi e gomme non perfetti e/o per utilizzi gravosi, il rischio di stallonare (pneumatico che salta via dal cerchio) permane, così come tagli oltre i 3-5 mm che non vengono sigillati dal liquido interno, ma resta sempre la possibilità di usare una camera d’aria per terminare il giro con successo.

Nella grande famiglia del Tubeless rientrano anche le soluzioni Tubeless Ready, in sostanza quei cerchi e quelle gomme che con alcuni accorgimenti – nastro sul cerchio e liquido sigillante interno – rendono l’insieme equiparabile a una soluzione nativa.

I vantaggi? Minori costi di produzione e peso relativamente più contenuto. In questo caso il grande merito di aver compiuto una svolta va a Stan Koziatek, lo statunitense appassionato di Kart che iniziò a pensare a una soluzione per far fronte alle frequenti forature in pista.

Così escogitò la formula per un liquido sigillante a base di lattice, poi entrato in produzione con il nome Stan’s Notubes Sealant. Da qui a fornire un kit completo, fatto di nastro sigillate e di valvola per il cerchio, il passo è stato breve.

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Pedali a sgancio

Pedali-a-sgancioPedalare con le scarpe agganciate ai pedali porta a innumerevoli benefici, come un’azione più efficace e una maggiore sicurezza nel gestire il mezzo, soprattutto su terreni sconnessi. A dir la verità, i sostenitori dei pedali flat – con scarpe non agganciate ma con la suola “bloccata” dall’attrito tra questa e i cosiddetti pin dei pedali – affermano il contrario, ma la questione è incontrovertibile.

Grazie al sistema SPD (Shimano Pedaling Dynamics), di cui Shimano è il principale sostenitore dalle origini (anno 1990), i piedi rimangono ben fermi quando pedaliamo in fuorisella su tratti sconnessi, affrontiamo in ripido in discesa o semplicemente decidiamo di staccare le ruote da terra per un salto.

Essere in grado di alleggerire la ruota posteriore o l’anteriore, o entrambe, senza fare affidamento alle scarpe agganciate, è in ogni caso uno skill (abilità) essenziale per il biker, ma ciò non toglie che con pedali e scarpe SPD – o equivalenti – sia tutto più semplice e i biker meno preparati tecnicamente possono comunque divertirsi e superare indenni situazioni scabrose.

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Reggisella telescopico

Reggi-telescopicoA parte qualche esperimento mai sfociato in un prodotto definitivo, solo all’incirca a metà degli anni 2000 è iniziata la rivoluzione dei reggisella telescopici.

Il primo è stato il Gravity Dropper Descender Post, realizzato da una piccola azienda statunitense dalla produzione poco più che artigianale. Con il prodotto omonimo, di una semplicità disarmante – pistone interno forato per il bloccaggio e molla per l’estensione – il Gravity Dropper ha permesso ai rider di abbassare completamente la sella per la discesa (baricentro più basso), con una banalissima azione sul pomello sottosella prima e sul comando remoto al manubrio poi (Gravity Dropper Classic).

È nato per l’all-mountain e per il trail biking, per l’escursionismo a tutto tondo per intenderci: giri lunghi, fatti di molti tratti pedalati alternati ad altrettanti in discesa, in cui fermarsi per abbassare e/o alzare di continuo la sella diventa noioso per usare un eufemismo.

Nel corso degli anni il Gravity Dropper originario si è evoluto e raffinato puntando sempre alla massima essenzialità della costruzione e del funzionamento, così come sono comparsi prodotti più ricercati, con funzionamento idraulico, o ad aria assistita da una cartuccia idraulica.

Anche l’utilizzo si è fatto più variegato, soddisfacendo soprattutto le esigenze di chi si dedica alle competizioni enduro… in ogni caso, è ormai un “mai più senza” (must have in inglese) per il moderno biker, sia su bici full sia front divertenti, che anche sulle moderne e-mtb.

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Giunto Horst

Non è stato il primo schema di sospensione a comparire sul mercato, ma è stato quello che ha dato una svolta secca all’intero movimento.

Infatti, dopo l’introduzione dell’accorgimento ideato dall’ingegnere tedesco Horst Leitner nel 1984 e prodotto sulle “sue” bici AMP dal 1990, nulla è stato più come prima, e tutti gli altri designer si sono dovuti confrontare con esso.

Forse, la sospensione posteriore, intesa come sistema per migliorare il comfort e il controllo della mountain bike, è nata con il giunto Horst. Nel tempo il sistema a quadrilatero articolato con giunto sui foderi bassi, che svincola la ruota posteriore da questi ultimi, è stato identificato con il solo nome di Horst, e nell’ultimo decennio di vita è diventato il cavallo di battaglia di Specialized.

L’azienda fondata da un altro dei pionieri del mountainbiking, il californiano Mike Sinyard, ha acquisito il brevetto e tutte le bici biammortizzate della casa della grande “S rossa” sono identificate dalla sigla FSR. Anche questa piattaforma si è evoluta nel tempo, ma il giunto Horst è rimasto in una posizione pressoché immutata, diventando uno dei sistemi più imitati oltre che sfruttati.

Horst

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Perno passante a sgancio rapido

All’inizio fu il Quick Release, l’esile perno (sezione di 5 mm) a sgancio rapido ereditato dalla bici da corsa. Ma una cosa è pedalare su una comoda e liscia strada asfaltata, un’altra procedere su terreni sconnessi. Così nel tempo hanno fatto comparsa i primi perni con sezione da 20 mm sulle forcelle anteriori, utilizzati all’inizio in discesa e poi anche sulle bici da all-mountain ed enduro.

I vantaggi sono evidenti: maggiore rigidità e solidità dell’insieme, che si traduce in un controllo superiore dell’avantreno, per un aggravio di peso contenuto. Gli svantaggi? Quasi nessuno: solo pochi modelli vedono la necessità di usare una chiave a brugola per smontare e rimontare la ruota anteriore.

Un grande passo in avanti verso una larga diffusione, in sostanza verso il mondo mainstream, è stato l’associare la leva dello sgancio rapido al perno passante.

Così sono nati i primi perni da 20 mm Quick Release sulle forcelle Rock Shox e Marzocchi. Negli ultimi anni il perno passante a sgancio rapido si è diffuso ulteriormente nel mondo dell’escursionismo a tutto tondo sconfinando nel cross country, grazie alla collaborazione tra Shimano e Fox che ha prodotto il perno QR da 15 mm, presto diventato lo standard in questa fascia e soppiantando il 20 mm anche su molte forcelle da all-mountain ed enduro.

La tecnologia nel frattempo è migrata sulla ruota posteriore, dove l’incremento di rigidità, solidità e controllo della bici è stato reso possibile da Syntace, con il suo asse 12×142 mm ormai diventato uno standard per ogni bici che si rispetti: dalle front xc 29er alle enduro.

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Fibra di carbonio

Alcuni dei più grandi progressi nel mountainbiking hanno riguardato i materiali in cui è costruito il telaio. La “corona del Re” è indossata dalla fibra di carbonio che solo negli ultimi 5-6 anni ha raggiunto la piena maturità, dopo una prima fase “sperimentale”.

Forse il più grande merito della nobile fibra, sin dai primi esperimenti delle grandi e piccole case – come non ricordare la mitica Cannondale Raven? O il prototipo di Ancillotti da discesa? – è aver costretto i sostenitori dei più tradizionali acciaio, alluminio e titanio a una forzata evoluzione per rimanere “relativamente” competitivi in termini di rapporto tra rigidità e peso.

Ora i moderni telai in fibra di carbonio sono in gran parte dei raffinati monoscocca con disposizione ottimale dei fogli di fibra così da raggiungere l’obiettivo desiderato dal designer: zone più rigide e robuste, altre più leggere e flessibili.

I prezzi della maggior parte delle soluzioni sono da gioielleria, o quasi, ma è innegabile che il mix tra fibre e resine abbia spinto la ricerca del massime performance a un livello mai raggiunto prima.

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Menzioni particolari

Alluminio idroformato

Nel corso degli anni 2000, l’introduzione del processo d’idroformatura per l’alluminio ha rappresentato una piccola rivoluzione. Infatti, i designer potevano finalmente liberare tutta la loro fantasia per forme e sezioni dei tubi. Uno dei vantaggi è il poter realizzare silhouette assimilabili ai fratelli d’alta gamma in fibra di carbonio.

Corone anticaduta e cambio posteriore con stabilizzazione

Grazie a SRAM, nel 2013, è stata sdoganata la trasmissione a 1×11 velocità per la mountain bike: singola corona anteriore e pacco pignoni a 11 rapporti al posteriore.

Ma la vera innovazione è la tecnologia X-Sync introdotta sulla corona anteriore e sulle pulegge del cambio posteriore: un sistema anti caduta brevettato, che molti altri brand hanno cercato di imitare con un approccio conosciuto come “wide narrow”.

Sempre nell’ottica dell’anti caduta, grazie a SRAM e Shimano (rispettivamente Type-2 e Shadow+), abbiamo i cambi posteriore con frizione integrata che stabilizza la gabbia che integra le due pulegge e su cui gira la catena. Il tutto all’insegna della massima stabilità e sicurezza della trasmissione.

Ammortizzatori con piattaforma stabile

La grande famiglia della piattaforma stabile comprende tutte quelle soluzioni, escogitate dai vari produttori di ammortizzatori, per stabilizzare la sospensione posteriore sotto l’azione della pedalata e della frenata senza intaccare – o quasi – le performance nell’assorbimento degli urti.

Ne guadagnano soprattutto quegli schemi di sospensioni influenzati dalle forze della trasmissione (il cosiddetto tiro catena), neutralizzando lo sgradevole effetto noto come “bobbing” (ondeggiamento incontrollato).

Serie sterzo aheadset (non filettata)

In principio furono le pipe, che si inserivano negli sterzi filettati. Solo grazie a Cane Creek furono introdotte le serie sterzo non filettate, registrate con il nome di Aheadset (brevetto USA scaduto nel 2010).

Hanno avuto il merito di semplificare in modo enorme la progettazione e realizzazione di telai e forcelle, grazie al design semplicissimo: cuscinetti inseriti all’interno di coppe, montate a pressione sulle estremità del tubo sterzo del telaio.

Negli ultimi anni si sono diffuse, soprattutto su telai in fibra di carbonio, soluzioni come le serie sterzo semi integrate (coppe interne al tubo sterzo) o integrate (cuscinetti inseriti in apposite sedi del tubo sterzo).

Camelbak

Un’altra innovazione che arriva dalla California, ma in questo caso per il biker e non per la bici: un sistema d’idratazione che ha rivoluzionato il settore, soprattutto quello dell’escursionismo a tutto tondo… infatti, chi fa xc, competitivo o meno, predilige ancora la classica borraccia.

Tutto nacque, nel lontano 1989, dalla necessità di bere durante competizioni su strada in climi particolarmente ostili e senza doversi continuamente fermare per riempire la borraccia, con un’intuizione geniale dell’inventore Michael Edison: un tubo collegato a una sacca della flebo piena d’acqua, inserita dentro un calzino, riposto poi nella tasca posteriore della maglietta da bici, con il tubo bloccato da una molletta.

Così nacque il primo sistema d’idratazione hands free (senza mani) insieme al nome di un’azienda che ha dato il nome a un intero settore merceologico: tutti chiamano Camelbak un qualunque zaino idrico di ogni marca.

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