RedBullRedbull Rampage 2013 Claudio Riotti 16 Ottobre 2013 Eventi, Eventi News Earth, Wind e Kyle (Strait) Nata nel 2001 e giunta ad anni alterni alla sua ottava edizione la Redbull Rampage 2013 è uno degli eventi più attesi e pazzeschi degli ultimi tempi. L’idea nacque da gente del calibro di Josh Bender (forse il più estremo interprete del concetto di “drop”, saltare giù da altezze disumane con la bici) che viveva proprio a ridosso della Riserva Kolob nei pressi di Virgin, nello Utah. Canyon immensi e formazioni montuose uniche tipiche di questa zona hanno da sempre affascinato i rider di tutto il mondo e li hanno spinti a creare nuove linee sempre più difficili e ripide e costruire salti sempre più grossi. Quest’anno il vincitore con una run perfetta in puro stile Big Mountain Freeride è Kyle Strait, (già vincitore nel 2004 a 17 anni!) davanti a Kelly Mc Garry e terzo Cameron Zink. La nota dolente è che la gara è stata sospesa con ancora una decina di rider che dovevano terminare la loro seconda run, a causa del vento alzatosi nel pomeriggio che ha reso le condizioni troppo pericolose per continuare, una scelta sofferta da parte degli organizzatori. Una produzione immensa con due elicotteri, telecamere ovunque, fotografi, staff e volontari per non parlare del pubblico presente che quest’anno sembrava più folto che mai. Una macchina organizzativa che una volta avviata non è possibile fermare o posticipare, dopo quasi due ore di attesa con gara ferma l’unica decisione purtroppo è stata terminare l’evento e tenere valida la classifica della prima run. Noi la Rampage l’abbiamo vista a casa di Tony Hollywood, che negli anni è diventato pappa e ciccia con la maggior parte dei big in questione. Un sacco di maglie dei rider appese per la casa, ma addosso aveva quella di Brandon Semenuk, il suo idolo. Purtroppo neanche i santini che stringeva in mano gli sono serviti e Brandon se ne torna a casa per un altro anno con le orecchie basse e le unghie divorate dal nervoso... Guardando Pef (Pierre Edouard Ferry) in tv mi sono venute in mente le raidate in cui ci tirava su linee già per noi giganti. Mhhh… non so se l’avremmo seguito alla Rampage. Grande Pef, hai spaccato! “La mia Rampage” Una serata intera passata davanti allo schermo del computer (quattro ore e mezza per la precisione), dopo aver visto cose che noi umani neanche ci sogniamo, aspettando il meglio, il clou, l’apoteosi degli ultimi rider, il contest viene sospeso. Sono impietrito. Fisso lo schermo per un po’, la stanchezza è enorme anche per la giornata passata in bici pregustando la serata, mi trascino a letto, rimuginando… non riesco a prendere sonno. Forse quest’anno hanno esagerato e il vento è stato un segno divino che stavano tirando troppo la corda e prima che qualcuno finisse male hanno chiuso tutto. Forse sto invecchiando mi dico, che razza di ragionamenti faccio? Però la riflessione viene spontanea, la Rampage era nata come gara dove si sfruttavano i cayon e i gap naturali e non rampe enormi di legno e atterraggi creati dalle ruspe come l’Icon Sender. Forse è per quello che il deserto si è sentito preso in giro, ha alzato il vento, ha deciso che tutto ciò era troppo e ha detto “vediamo con questo vento se vi saltate quei cosi artificiali!”. Beh, di certo non può essere stata la birretta a cena a farmi venire certe idee, qui è roba seria, sono in paranoia da Rampage! I primi anni si vedevano rider e fotografi, forse qualche parente intimorito per l’incolumità dei propri cari. Ma di anno in anno la Rampage si è trasformata in un evento che attira migliaia di appassionati che portano lo stesso spirito e stile di Whistler, anche qui in mezzo al nulla. © Christian Pondella/Red Bull Content Pool Oramai mi sono abituato alla differenza che c’è tra video e realtà. Se quello che vedo in tv mi sembra davvero ripido, nella realtà dev’essere qualcosa di impressionante, e lo si vedeva dalla postura dei rider, con le chiappe che grattavano il posteriore sui muri più ripidi e impestati. © Christian Pondella/Red Bull Content Pool Quanto mi spiace per Andreu… lui dev’essere uno di quelli che si è pesantemente risentito per la decisione dei giudici di tenere buono il punteggio della prima run. L’hanno fatto proprio a lui, che va a tutti i contest del pianeta e non partecipa perché i salti sono troppo piccoli… © Christian Pondella/Red Bull Content Pool Quello che voglio cercare di dire e che poi mi sono cucinato nel cervello tutto il lunedì è che quest’anno sono arrivati ad un livello veramente incredibile di strutture, dimensioni, trick, tanto da dire “E ora, dove arriveranno? Cosa faranno ancora l’anno prossimo?”. La domanda è lecita, io da rider nella media ho raccolto la mandibola da terra nel vedere Mc Garry passarsi il canyon-gap in backflip, il saltino da 23 metri di lunghezza, sapendo poi che non lo aveva mai provato e ha deciso quasi all’ultimo metro di farlo… per non parlare di Zink sull’Icon Sender, il drop dove ha veramente spento, come si dice oggi, e chiuso il più spettacolare backflip della storia della mountainbike! Urla da stadio e gasamento ma poi sul più bello vedere i migliori dover scendere dalla bici e rinunciare alla seconda run mi ha fatto veramente male, è stato un colpo basso, una di quelle cose che ti segnano. Come ogni anno tutti gli occhi erano puntati su di lui, su Brandon Semenuk, quello che attualmente è il rider più completo e pulito del panorama estremo. Brandon sa mixare alla perfezione numero/tecnicità di trick e flow su terreni impervi come questo, ma per il secondo anno di fila l’enorme peso della pressione lo mette ko. Vedendo questa foto siamo contenti che non abbia sbagliato il drop in questione ma abbia preso una “banale” inpuntata. © Christian Pondella/Red Bull Content Pool Voci dicono che il francese Antoine Bizet avrebbe fatto backflip no-hand sull’Icon Sender, e che comunque tutti avrebbero spinto al limite nella seconda manche, Cam Zink per primo visto che dopo il suo salto è praticamente sceso in “trance da backflip” senza fare più niente. Cosa avremmo visto? Cosa avrebbero rischiato? Già tanti sono andati via malconci, molti hanno saltato le finali per infortuni nelle qualifiche e due sono stati portati via in barella con svariate ossa rotte. Naturalmente la sicurezza dei rider prima di tutto, però non è che con quei salti giganti anche il minimo soffio di vento ti fa finire fuori traiettoria? Non è che nel deserto è normale che soffi il vento e magari vogliamo cercare di modificare anche quello? Magari mettere tutto lo Utah in una teca di vetro… Oppure non è che sono tutte menate e dovrei darmi al giardinaggio e alla briscola? Sapendo che il Canyon Gap aveva mietuto più di una vittima – andatevi a vedere l’atterraggio devastante di Cam Zink della scorsa edizione – Kelly McGarry se l’è flippato quest’anno! Stiamo parlando di qualcosa come 23 metri, con tanto di abisso in mezzo e un atterraggio che implica una velocità calcolata “al millimetro”. Big Balls per un rider che è arrivato secondo, ma si porta a casa il primo premio per simpatia e coraggio grazie al voto on-line sul sito RedBull. © Christian Pondella/Red Bull Content Pool L’Illuminazione – Rampage Evolution Dopo lo sconforto vado qua e là su internet per cercare risposte, pareri, qualcosa che mi mettesse il cuore in pace e lo trovo, trovo nei commenti dei protagonisti e di chi è stato testimone la mia risposta che riassumo in: just for fun. Chi è stato alla Rampage, là, nella polvere, nel vento, ha visto negli occhi dei rider quella luce, quella cosa che ti trasforma: dopo una settimana a scavare, creare e sudare quelle linee e quei salti l’unico scopo che hai è provarli, farli tuoi, sentire quella sensazione incredibile alla fine della run, cercare la linea perfetta, collegare tutto come un’unica scia luminosa di polvere e adrenalina. Solo per divertirsi. E’ questo il loro mestiere ed è per questo che girano in bici, l’evoluzione della Rampage segue questi principi e va al di là della polemiche sui salti artificiali o di terra o sul fatto che tre backflip sono meglio di un no hand in una discesa. Se l’anno prossimo sarà ancora più estrema ci saranno sempre atleti disposti a rischiare e farci sognare, perché alla fine sono ragazzi che amano farlo, lo sentono e lo fanno a prescindere della gara o del contest. Un folle… Cam Zink è ben conosciuto in questo mondo per compiere azioni impensabili, ma anche prendere cartelle disumane. Pensate che due giorni prima era in ospedale per drenare un ematoma alla gamba… Ma la cosa che mi ha fatto più specie è che in basso lo attendeva la moglie in cinta al none mese, della serie, lo vedrò mai mio figlio? Tirando un grosso sospiro di sollievo non solo vedrà suo figlio, ma sarà per sempre ricordato come il rider che ha mandato il flip più grande della storia delle due ruote. © John Gibson/Red Bull Content Pool Cam Zink era senza parole dopo il suo incredibile backflip, ha detto che passare a 50 all’ora tra le due ali di folla in delirio è stato indescrivibile… e diventerà papà tra pochi giorni! Kyle Strait, suo grande amico, appena terminata la discesa non ha aspettato il punteggio o dato i cinque alla gente, ha preso il walkie-talkie e ha detto a Zink che era su in cima com’erano le condizioni del vento sui salti e sull’Icon Sender! Queste sono le cose che valgono più di mille parole, sono la genuinità e la sportività che io stesso ho visto in tante altre situazioni nella mountainbike che fanno grande questo sport. Lunga vita alla Rampage e complimenti a tutti i rider! Non è una trick-machine ma un vero rider di big mountain (l’espressione che ha preso il posto di freeride). Graham Agassiz si vedeva chiaramente che si trovava a suo agio su questo terreno e lo dimostra il 360-drop più stiloso mai visto sino ad ora. © Christian Pondella/Red Bull Content Pool So stocked avrà detto il neozelandese Kelly per i trofei che si porta a casa, oltre che la pelle… © Ian Hylands/Red Bull Content Pool Chiudo dicendo che ci sono quelli che leggono la storia e quelli che la fanno. Loro, con i rischi che comportano battaglie del genere, rimarranno per sempre i primi ad aver portato avanti i limiti del riding estremo. © John Gibson/Red Bull Content Pool