Tornare alle gare due mesi dopo la frattura del femore Claudio Riotti 26 Gennaio 2016 Allenamento e salute Durante un’uscita su strada scoppia il copertone posteriore in discesa e Davide Brenna, un rider come tutti noi, si ritrova con una brutta frattura. Dopo solo due mesi e una protesi al femore, il ritorno in sella. Ecco la sua storia. Davide Brenna, comasco, 39 anni, sportivo fin da bambino tra nuoto e tennis, segna l’innamoramento con la mtb nel 1988 con una Aliverti dal telaio Colnago in acciaio. È il boom dei “rampichino” in Italia, ma a 16 anni anche le moto fanno gola e Davide sale su una Honda NSR 125. Inizia una passione per due ruote a motore da strada e poi il motocross, fino ad arrivare al cross country e al downhill nel 2013. La prima gara in mtb da non tesserato alla Marathon Bike della Brianza fa scattare la scintilla delle competizioni e si ritrova, come molti rider “seri”, a inforcare la bici da corsa a marzo 2014 come allenamento per iniziare a gareggiare con la mtb a livello agonistico. Questa è la sua storia, da poco prima dell’incidente fino al momento del ritorno in sella dopo meno di due mesi, un record impossibile per i dottori che gli avevano pronosticato una vita senza più bici e gare. Antefatto: stagione agonistica 2014, settembre La mia prima stagione agonistica in mtb tesserato con Bike&Co di Como è stata nel 2014. Con i consigli di un caro amico ex atleta di mtb, a marzo ho iniziato una preparazione “fatta in casa”. Ho acquistato la mia prima bici da corsa e integrando gli allenamenti in piscina e in palestra che già facevo da tanti anni, ho iniziato a macinare km utilizzando un cardiofrequenzimetro, dopo aver calcolato indicativamente la frequenza cardiaca di soglia anaerobica. La preparazione procede nel migliore dei modi e durante la stagione mi tolgo delle soddisfazioni portando a termine alcune Gran Fondo e Marathon, tra cui Gf Città di Garda, Andora Bike, Albisola Bike, Longobardi Marathon, Marathon Bike della Brianza. A fine settembre concluderò la stagione alla Gimondi Bike. Proprio in occasione della Marathon Bike della Brianza di inizio settembre, conosco, quasi per caso, Luca Molteni, triatleta di sportperformances.it che svolge la professione di preparatore atletico ad Albavilla (CO). Con la mente sono già alla stagione 2015: “I have a dream”… il grande sogno è partecipare e arrivare al traguardo della Sellaronda Hero, che proprio nel 2015 sarà un evento ancora più emozionante in quanto inserita nel calendario internazionale UCI e valida come prova che assegnerà la maglia di campione del mondo Marathon di mtb. Con Luca nasce subito una bella amicizia, che unita a un programma di preparazione cucito alla perfezione sulle mie caratteristiche fisiche di scalatore è il più importante presupposto per una stagione ricca di soddisfazioni. Non c’è tempo da perdere e dopo un test incrementale per il calcolo preciso della soglia anaerobica a novembre partiamo con la preparazione, tabelle su tabelle, ritmi serrati, quando non lavoro sono impegnato ad allenarmi. Sporadicamente continuo a fare motocross e downhill ma ormai la mia attività sportiva principale diventa il ciclismo e la mtb. Le settimane passano veloci, gli allenamenti si susseguono senza interruzioni, pesi, piscina, rulli e uscite in bdc e mtb. Verso la fine del 2014 mi tessero con una nuova squadra, la Ram Bike di Casatenovo, team nato da poco con la voglia di crescere e di fare bene. La Sellaronda Hero si avvicina Siamo a marzo 2015, la preparazione continua. Ho occasione di testare le gambe in due gare, la Capriolo Bike dell’Orobie Cup e la South Garda Bike a Medole, finite entrambe con tempi di tutto rispetto. Gli allenamenti continuano sempre più intensi in modo di arrivare a maggio-giugno al top della forma. Il prossimo appuntamento in griglia è alla Marathon “Città di Garda” di metà aprile, gara che purtroppo non riuscirò a disputare… 10 aprile 2015: “The Big Crash” È un venerdì stupendo, sole e temperature primaverili caratterizzano l’inizio della giornata. Lavoro nel pomeriggio, quindi ho tutta la mattina per un allenamento in bici da corsa non esagerato. C’è in programma un’uscita con una salita non troppo lunga. Sono indeciso tra due salite mai fatte, il Monte Bisbino e il Monte Barro. Essendo il Bisbino una salita di 15 km opto per il Monte Barro, una bella salita non troppo dura, in alcuni tratti perfetta per salire con una piacevole cadenza di pedalata in agilità. Mi sento in formissima, lo sento e le sento: le gambe girano bene come ho sempre desiderato. In cima, il panorama dal Barro è stupendo, si vedono il lago di Annone, il lago di Alserio e il lago di Pusiano e di Garlate. Ritorno passando da Villa Vergano e a Colle Brianza inizio la discesa che mi porterà sulla Como-Bergamo per poi rientrare a casa. In discesa da Colle Brianza scendo veloce, ho già la mente all’uscita che farò il giorno dopo, magari una bella salita lunga. La velocità è sostenuta, intorno ai 60 km/h, mi sto avvicinando a Santa Maria Hoè, ma proprio sulle due curve che precedono l’ingresso al paese, ecco l’inimmaginabile: in un attimo accade tutto quello che mai avrei mai pensato potesse succedere proprio quella mattina, felicissimo di quella fantastica pedalata con il sole e orgoglioso della mia preparazione fino a quel punto ottenuta. Sento uno sparo. Sì, pensavo mi avessero sparato. In una frazione di secondo gli occhi si spostano sul retrotreno della bici da corsa, in un millesimo di secondo capisco che è scoppiata la camera d’aria, il copertoncino si stallona all’istante, il cerchio sull’asfalto, la bici si intraversa, per un attimo la controllo ma poi mi disarciona. Mi ritrovo, pienamente cosciente, nel bel mezzo della curva, seduto, non ho dolori, probabilmente grazie all’overdose di adrenalina di quella mattinata piacevole. Qualche sbucciatura ai gomiti, non ho picchiato la testa, le spalle e le mani sono ok, la schiena è ok, riesco a muovere i piedi. Per un attimo sono proiettato indietro di 20 anni, sempre seduto sull’asfalto dopo un incidente con la mia Honda NSR 125 in cui avevo fratturato tibia e perone. Nel frattempo sopraggiunge una vettura dal senso opposto, rallenta, probabilmente ha intravisto la dinamica della mia caduta: l’automobilista abbassa il finestrino e mi chiede se va tutto bene. Cerco di muovermi ma è come se avessi il bacino calamitato sull’asfalto, non riesco a spostarmi da solo. La situazione diventa surreale. Di lì a poco si fermano altri automobilisti. Non posso rimanere in mezzo alla strada e con un pezzo di cartone infilato sotto al sedere riescono a trascinarmi a bordo strada. Chiamano il 118. L’arrivo dell’ambulanza non si fa attendere troppo. Mi caricano sulla barella dopo avermi immobilizzato per evitare qualsiasi movimento. Dopo pochi minuti arriviamo in ospedale a Merate, l’ospedale più vicino in zona. Ospedale di Merate, Lecco In attesa dei primi esami diagnostici avviso i miei familiari, i miei amici e i miei colleghi di lavoro dell’accaduto. Dopo circa un’ora mi portano in radiologia per le lastre: al bacino, una cervicale e al torace. Mi riportano in pronto soccorso e i minuti di attesa per il referto del radiologo sembrano ore, giorni… Speravo in una brutta contusione al bacino, qualcosa di poco conto, qualcosa che non avrebbe rovinato la mia stagione in mtb. Arriva il medico di turno, con in mano le mie lastre e sapendo che sono un medico odontoiatra, non fa tanti giri di parole: “È una brutta frattura, ha subito la frattura scomposta del collo del femore, deve essere operato al più presto, se in sala operatoria finiscono presto anche questa sera stessa“. Il medico non ha finito: “Inoltre le anticipo che, considerata la sua età di 38 anni, le verrà inserita una protesi d’anca, in quanto ridurre la frattura tramite osteosintesi con chiodi e viti avrebbe una scarsa probabilità di successo, con probabile necrosi della testa del femore e quindi con un altro intervento a breve.” Cerco di non farmi prendere dallo sconforto, penso positivo, come faccio sempre, nella sfortuna dell’accaduto mi ritengo fortunato: se fossi stato su un’altra strada più trafficata probabilmente non sarei qui a raccontare la mia storia. Mi preparo già psicologicamente all’intervento chirurgico. Alcuni amici mi mandano messaggi di affetto dicendomi che l’Ospedale di Merate è un centro all’avanguardia per l’inserimento delle protesi d’anca e ciò mi fa molto piacere. Mi trasferiscono nel reparto di ortopedia, in camera ci sono due letti, l’altro è vuoto. Continua il solito viavai ospedaliero delle infermiere, flebo, prelievo, prova auricolare della temperatura corporea. Cerco di rilassarmi il più possibile, non serve a nulla incazzarsi, io sono molto fatalista, doveva andare così e mi metto il cuore in pace. Il sogno di partecipare alla Sellaronda Hero devo rimetterlo nel cassetto… e non so nemmeno se potrò mai realizzarlo dopo quello che mi è successo. Nel tardo pomeriggio in camera viene a farmi visita uno dei chirurghi che mi opererà. “Purtroppo stasera non riusciamo a operarla perché la sala operatoria è già occupata fino a tardi, faremo l’intervento domattina presto, quindi oggi continui il digiuno. Non si preoccupi, domani avrà l’équipe chirurgica al completo e ci sarà anche il primario“. Considerato che andrò a breve sotto i ferri, mi sento tranquillo, in buone mani. Sono cosciente che non sarà una passeggiata, ma io sto già pensando al momento in cui potrò iniziare la riabilitazione, il morale è alto e continuo a ripetermi che sono stato fortunato, poteva andare peggio. 11 aprile, l’intervento: divento bionico Complice il fatto di essere da solo in camera trascorro una notte tranquilla, riesco a dormire e a riposarmi. Verso le 8 gli infermieri vengono a prendermi e mi trasferiscono nella saletta preoperatoria, dove mi iniettano un blando sedativo in attesa dell’anestesista. Dopo circa 20 minuti arriva una giovane dottoressa che procede col farmi un’iniezione lombare per l’anestesia spinale e mi inserisce anche un catetere epidurale che servirà nei giorni seguenti per l’infusione degli antidolorifici. Poco prima di entrare in sala operatoria mi viene inoltre inserito un catetere vescicale, mai provato e tutt’altro che piacevole. Vengo messo sul tavolo operatorio, sdraiato sul fianco destro in modo da lasciare il campo chirurgico nella miglior posizione possibile per intervenire sul femore sinistro. In sala operatoria c’è una temperatura “frizzante”, per questo vengo coperto sul busto e sulla testa con un telo e dove viene inserito un piccolo phon per riscaldarmi. Il tepore del calore mi rilassa ulteriormente. Si susseguono il vociare dei chirurghi, il rumore degli attrezzi chirurgici. Sento l’avvio di un seghetto elettrico, non sbaglio intuizione, da lì a poco sento lo stridere dello strumento sul mio femore, ma solo il rumore, senza dolore. Viene preparata la sede per l’inserimento della protesi. Nel femore verrà applicato uno stelo in titanio, non cementato, inserito con un martelletto all’interno del midollo osseo. Una volta rimossa la testa del femore fratturata, l’acetabolo del bacino viene preparato con una fresa a palla che creerà la sede per una semisfera di titanio e ceramica. Su questa semisfera si articolerà la sfera in ceramica presente all’estremità superiore dello stelo inserito nel femore. L’intervento prosegue e a un certo punto capisco che siamo vicini alla conclusione perché mi stanno dando i punti di sutura, soprattutto gli ultimi due che sento benissimo trafiggere la mia cute, ma ormai è fatta. Sono ancora in sala operatoria e felice per l’intervento già finito, paradossalmente sto già pensando a una nuova bici da corsa. È circa mezzogiorno e sono già di ritorno in camera, l’intervento è andato benissimo. Dopo l’intervento e la degenza in ospedale Sono consapevole che i prossimi giorni saranno quelli più duri in cui dovrò lottare contro il dolore quando finiranno le flebo di antidolorifici. Passo il weekend tranquillo senza particolari dolori in quanto l’infusione epidurale di antidolorifici fa un egregio lavoro. Gli infermieri e il personale ospedaliero sono molto disponibili. Ritorno ancora per una frazione di secondo al mio ricovero ospedaliero di 20 anni prima, so che per qualche giorno non potrò alzarmi dal letto e dovrò utilizzare pappagallo e padella per i miei bisogni fisiologici, ma è una cosa già provata e quindi non mi faccio problemi, in ogni caso non ho alternative. Nel pomeriggio passano gli infermieri per infilarmi le calze compressive antitrombosi, che mi faranno compagnia per i successivi sessanta giorni. Durante l’intervento ho perso molto sangue e sono stato a rischio di trasfusione per l’anemia che si è andata a creare. Fortunatamente anche grazie al mio stato di forma al momento dell’incidente, si è resa necessaria solo l’integrazione con acido folico e ferro. Il lunedì seguente conosco la fisioterapista che mi seguirà durante la degenza in ospedale. Le racconto del mio incidente, della mia attività sportiva chiedendole se potrei un giorno tornare in sella, ma lei non si sbilancia e comincia a illustrarmi gli esercizi che dovrò fare quotidianamente per riprendere il tono muscolare della mia gamba sinistra. Sembra impossibile ma in meno di tre giorni di immobilità ho polverizzato il mio quadricipite e il mio gluteo sinistri, mesi e mesi di lavoro di allenamento vanificati in così poco tempo. Uno stimolo maggiore per recuperare il più in fretta possibile. Il martedì successivo all’intervento, uno degli ortopedici che mi ha operato viene a farmi visita e chiede informazioni in merito alle mie attività sportive. Dopo avergli raccontato quello che facevo, ovvero motocross, downhill e mtb a livello agonistico mi ha fulminato con una frase perentoria: “Puoi tornare a pedalare ma per andare a prendere il pane“. In quel momento ho pensato a due sole cose: 1, non mi interessava andare a prendere il pane in bici e 2, la mia breve carriera agonistica da ciclista era già al capolinea? No, non volevo crederci. Le successive 48 ore, trovandomi spiazzato dalla frase del medico, complici anche gli antidolorifici che avevo in corpo, le passo su Internet con il mio smartphone a vendere tutti i miei mezzi, moto e bici comprese… mi sembra di vivere un incubo. Le giornate passano tutte uguali, prelievo all’alba, colazione, fisioterapia, pranzo, fisioterapia, riposo, cena e alle 21 già pronto per dormire. Dopo qualche giorno, mentre inizio a scorrazzare per il reparto con una carrozzina, viene ricoverato quello che sarà il mio compagno di stanza fino alle mie dimissioni dall’ospedale. Anche lui ha fratturato il collo del femore, ha circa 15 anni in più di me ed è caduto praticamente da fermo con bici la bici da corsa, non è riuscito a sganciarsi dai pedali ed è franato rovinosamente su un fianco. Lo rincuoro spiegandogli l’intervento che anche lui subirà e di non preoccuparsi che andrà tutto bene. Il 16 aprile, a cinque giorni dall’incidente, torno in radiologia per le lastre di controllo. Il posizionamento della protesi è avvenuto con successo. 18 aprile, si inizia con le stampelle Come da protocollo ospedaliero dopo sette giorni dall’intervento la mia fisioterapista mi concede il lusso di iniziare a spostarmi con le stampelle, già mie “amiche” di passeggio 20 anni fa. Infatti prendo subito confidenza negli spostamenti che seppur brevi mi permettono di acquisire una certa autonomia. I giorni scorrono e anche senza la fisioterapista cerco di fare esercizi il più possibile, il primo obiettivo è quello di riprendere il prima possibile il tono muscolare perduto. Oltre a familiari e amici viene a farmi visita il mio team manager Emanuele Valsecchi, che si è anche mobilitato con la FCI, la Federazione Ciclistica Italiana, per la denuncia del mio sinistro avvenuto in allenamento. Parliamo, gli spiego cosa mi ha detto l’ortopedico, sa che il morale è un po’ sotto tono ma guardandomi negli occhi capisce perfettamente che io sono uno che non molla, e con piacere da parte mia mi confida: “Secondo me tu ritorni a correre“. Fanculo quello che mi ha detto l’ortopedico, fanculo gli antidolorifici che mi stanno rincoglionendo, io voglio tornare a correre! Il giorno dopo vedo tutto sotto altri occhi, penso già a tornare in sella. Non voglio forzare il recupero ma farò di tutto e di più, tutto quello che è possibile fare per tornare il prima possibile a camminare ma soprattutto spingere sui pedali. 23 aprile, dimissioni: si torna a casa! Il 23 aprile vengo dimesso dall’ospedale di Merate e prima di tornare a casa faccio una visita fisiatrica presso il reparto di fisioterapia dell’ospedale di Mariano Comense, dove proseguirà il mio programma riabilitativo. Ho la fortuna di avere l’auto con il cambio automatico e quindi potrò venire a fare le sedute di fisioterapia in maniera autonoma senza scomodare familiari o conoscenti. Il rientro a casa è alquanto piacevole, abito da solo da circa 10 anni e ritrovare la tranquillità del proprio domicilio dopo quasi due settimane in ospedale mi rende felice. Amo la mia autonomia e perciò chiederò aiuto ai miei familiari solo in caso di estrema necessità. Anche se al rallentatore, riesco a cucinare e a essere indipendente per la mia igiene personale, salvo i primi giorni per quello che riguarda il cambio delle calze compressive. Infatti nei primi 60 gg dall’intervento dovrò evitare assolutamente alcuni movimenti che potrebbero provocare la lussazione della protesi. Devo utilizzare dei cuscini quando mi siedo, non posso incrociare le gambe, devo utilizzare un alzawater e devo dormire sul fianco destro con un cuscino tra le gambe. I primi giorni devo pensarci poi tutto diventa un automatismo. Le mie giornate a casa sono scandite alla mattina da una seduta con la fisioterapista (due o tre volte settimanali) e da circa due ore di esercizi che faccio autonomamente in un locale palestra che ho allestito anni fa a casa mia. Esercizi mirati alla mobilizzazione dell’anca bionica ma anche esercizi di potenziamento muscolare del tronco e delle braccia. Nel tardo pomeriggio è mia consuetudine uscire con le stampelle e fare circa un’ora di passeggiata intorno all’isolato. Alla sera mi preparo la cena e vado a letto intorno alle 23, è meglio non fare tardi, il giorno seguente mi aspetta un’altra maratona di esercizi da fare. Riuscendo giorno dopo giorno a muovermi sempre meglio, decido di rientrare al lavoro venerdì 9 maggio a meno di un mese dall’incidente. Certo, il mio lavoro mi permette di lavorare seduto anche se qualche dolore passeggero si fa sentire. Ogni giorno è sempre meglio, per tutto il mese di maggio lavoro part time e quindi le mezze giornate libere le sfrutto al massimo con la fisioterapia e la palestra. Ho iniziato nel frattempo a salire sulla mia cyclette per ricominciare a fare il movimento della pedalata, senza forzare ma solo per valutare eventuali impedimenti nel gesto. Non ho fastidi e questo mi fa ben sperare. Nel frattempo riesco a recuperare la bici dal mio meccanico Maurizio Aramini di Ram Bike Shop di Casatenovo, che ha sostituito il cerchio danneggiato e ha fatto un check generale di controllo. La bici è di nuovo pronta per essere cavalcata, è stato un bene non averla venduta! È ormai l’ultima settimana di maggio e sento la necessità di fare un esperimento, voglio provare a tornare a pedalare sulla bici con i rulli. Le gambe girano senza alcun problema, non ho dolore, certo non riesco a flettere la gamba verso il tronco come vorrei ma è normale visto che sono passati solo 50 giorni dall’intervento. 1° giugno, il ritorno “on the road” Mi sento bene, cammino ancora con le stampelle e ho già in testa la prossima sfida, provare a risalire in bici e fare qualche chilometro su strada. Detto, fatto. Il 1° giugno mi preparo e zoppicando appoggiandomi alla bici arrivo fuori dalla rampa che porta ai box della palazzina dove abito. Il clack dell’aggancio delle scarpette ai pedali è un suono meraviglioso che mi ero sognato per tutti i giorni passati dopo l’infortunio. Non ho intenzione di strafare, giusto qualche chilometro in pianura. Comincio a pedalare, 5, 10, 15, 20 km… ma sto bene, continuo a pedalare e tornato a casa mi ritrovo sul Garmin 50 km. Che dire? Non potrei essere più soddisfatto. Nei giorni seguenti faccio altre due uscite in pianura di 50 km. La muscolatura è ancora lontana dal top della forma ma l’importante è vedere dei miglioramenti tangibili ogni giorno che passa. Durante il mese di giugno inizio poi a fare qualche salita, senza troppe pretese, giusto per valutare la flessione dell’anca sul bacino. Va sempre meglio. Il 10 giugno intanto abbandono le stampelle. Inizio a fare salite sempre più impegnative, tra cui ricordo il Monte Bisbino, il Pian dei Resinelli, Civiglio, Brunate e la Colma di Sormano. 27 giugno: Sellaronda Hero Verso la fine di maggio sono riuscito a vendere il mio pettorale della Sellaronda Hero tramite Internet ma non ho cancellato la prenotazione alberghiera… nonostante non riesca a salire in maniera agilissima sulla bici, decido il 24 giugno di partire per Selva Val Gardena con al seguito bici da corsa e mountain bike. Mi godrò l’atmosfera del mondiale e avrò occasione per testarmi a fare qualche salita. Ormai sono circa tre mesi che non salgo sulla mountain bike. Arrivato a Selva all’Hotel Linder del mio amico Gunther, la voglia di risalire sulla mtb, soprattutto in uno scenario splendido come quello della Val Gardena è così tanta che mi cambio subito ed esco per un giretto. Scendo fino a Ortisei e poi risalgo verso Selva. Sono circa le 15 e non ho voglia di ritornare già in albergo, quindi mi dirigo verso il Dantercepies. Una salita che non ha bisogno di presentazioni, dura, forse troppo dura per le mie condizioni fisiche. Non ho nulla da perdere e mi metto subito alla prova. Nonostante due tratti fatti a piedi per l’estrema pendenza che mi obbligava a forzare troppo la flessione dell’anca riesco con grande soddisfazione ad arrivare in cima. Mah, come prima salita in mtb direi niente male, ottimo per il morale. La sera stessa sento un mio amico di Ortisei, Giorgio De Bernardi che, oltre a essere un maestro di sci, è anche un’ottima guida di mtb. Il giorno dopo è libero e ha in mente un’escursione “tranquilla” intorno all’Alpe di Siusi. Ci accordiamo e l’indomani mattina siamo pronti a partire. Sole e temperatura gradevole ci accompagneranno per tutta la giornata. Durante l’escursione ho modo di affrontare i primi single track dopo l’incidente, vorrei farli “a tutta” ma mi sforzo per non farmi prendere la mano e riesco a terminare l’escursione di 55 km e circa 1800 m di dislivello senza fastidi e soprattutto senza cadute. Alla sera il morale è altissimo, ma non sono ancora sazio. Il venerdì prima della Sellaronda Hero mi raggiunge a Selva un mio compagno di squadra, Claudio Sarigu, che in questa occasione correrà con i colori del team ufficiale Bianchi. Ci facciamo una “sgambatina” fino a Ortisei per un caffè e poi ritorniamo a pranzo a Selva. Alla sera ho in testa la prossima sfida. Il giorno prima ho tenuto bene su una distanza di 55 km e un discreto dislivello. La sfida è alla mia portata per la condizione fisica del momento. Il giorno dopo ci sarà la Sellaronda Hero e io, alla mia maniera, voglio comunque partecipare all’evento. Il 27 giugno mi sveglio con la voce dello speaker che alle ore 7 ha già fatto partire la griglia degli atleti élite. Mi alzo e dopo una buona colazione scendo a preparare la bici da corsa. Farò la Sellaronda on the road. Mi avvio verso le 9 quando stanno partendo le ultime griglie di biker. Decido di fare il giro orario e, dunque, la prima salita mi porterà al Passo Gardena, dove sul tratto stradale incrocio dei biker che arrivano dalla discesa che scende dal Dantercepies. Faccio qualche foto. Inizio a scendere verso Colfosco, non voglio prendermi rischi inutili quindi tengo una velocità moderata e raggiungo Corvara. Mi fermo a fare qualche scatto e riparto in direzione Passo Campolongo. ll meteo sta cambiando e arrivato ad Arabba inizia una fitta pioggerellina che mi accompagna per qualche chilometro durante la salita verso il Passo Pordoi. Non fa troppo freddo ma spero smetta di piovere prima di iniziare la discesa dal Pordoi verso Canazei. E così è stato, anzi spunta anche un timido sole nell’ultimo tratto di salita dove mi unisco a un gruppo di biker impegnati nella gara. È una bella emozione pedalare in gruppo anche se non in gara. Il Passo Sella a 2.240 m.s.l.m. Dal Pordoi inizio a scendere verso Canazei ma mi devo subito fermare per una foratura. Riparto dopo qualche minuto e giunto al bivio per Canazei, svolto a destra in direzione Passo Sella. Rallento in prossimità di un bar ristorante dove c’era anche il ristoro e il punto di assistenza meccanica della gara e sento qualcuno che mi chiama… ma chi mi chiama? È il socio proprietario della Ram Bike Massimo Manganini che ha riconosciuto da lontano la sua divisa verde fluo. Mi fermo per due chiacchiere piacevoli e riparto subito verso il Passo Sella. Arrivato al Sella faccio giusto in tempo a fare due foto, quando mi accorgo di aver forato per la seconda volta. Probabilmente il nastro paranipple è difettoso e non protegge a dovere la camera d’aria. Per fortuna ho una seconda camera d’aria di scorta e riparto dopo pochi minuti. Inizio la discesa e dopo qualche km raggiungo Plan De Gralba dove c’è il bivio fatto qualche ora prima che porta al Passo Gardena. Arrivato a Selva, ritorno in hotel felice della mia piccola impresa dal grande significato emotivo. Festeggio con una bella birra insieme ad alcuni amici abruzzesi e un polacco (Paolo, Roberto, Marco e Rytel) che hanno partecipato alla Sellaronda Hero e con i quali condivido il tavolo in sala da pranzo. Alla sera si festeggia anche la nazionale italiana presente all’Hotel Linder, due ottimi piazzamenti nei primi sette di Samuele Porro (Campione Italiano Marathon 2014 e 2015) e di Damiano Ferraro. 28 giugno, ritorno in Brianza L’esperienza vissuta a Selva mi ha motivato ulteriormente per proseguire gli allenamenti e con l’inizio di luglio comincio a mettermi alla frusta con salite sempre più lunghe e più impegnative, tra cui vorrei ricordare il Passo Maloja da Chiavenna fino a Saint Moritz, il Passo del Morterone, la Madonna del Ghisallo da Bellagio, il Passo Bernina da Tirano. Il tono muscolare è in crescita e mi pongo una nuova sfida: ritornare in gara al 27 luglio per l’Alta Valtellina Bike Marathon. Sono iscritto alla gara con la formula Marathon ma è un azzardo ritornare in griglia con una gara così dura, quindi mi faccio cambiare pettorale e partecipo alla formula Gran Fondo di 53 km e 1800 metri di dislivello, terminandola con immensa soddisfazione. È stata come una vittoria e avrei voluto trovare al traguardo l’ortopedico che mi aveva detto di andare a prendere il pane… sono orgoglioso di averlo smentito. Agosto: relax e allenamenti Complici le ferie di agosto il tempo per allenarsi si moltiplica e alla fine del mese il mio Garmin segna circa 1650 km, record mensile! Non male per uno che non doveva più pedalare. Gli ultimi giorni del mese ritorno a Selva per godermi qualche giorno di escursioni con la mtb e qualche giro con la bici da corsa tra cui ricordo una pedalata fino a Cortina d’Ampezzo passando per il Passo Falzarego e il Passo Valparola. Settembre: le ultime due gare del 2015 Motivato dall’avere concluso la gara di fine luglio a Bormio, decido di partecipare a due gare in cui ero già iscritto da inizio anno, ovvero la Marathon Bike della Brianza a Casatenovo e la Gimondi Bike a Iseo, concluse rispettivamente in poco più di 4 ore la prima e la seconda in 2 ore migliorando di ben 25 minuti il crono fatto registrare nel 2014. L’anca bionica funziona, ragazzi! Ottobre: test e inizio preparazione invernale All’inizio di ottobre mi sottopongo a un test incrementale presso il mio preparatore Luca Molteni per valutare la condizione e con non poco stupore raggiungo una potenza massima di 300 Watt a 198 bpm e una potenza alla soglia di circa 4.3 watt/kg, migliorando i miei valori ottenuti prima dell’infortunio. Non potrei essere più soddisfatto. Iniziamo già a pensare alla stagione 2016, ovviamente l’obiettivo principe rimane la Sellaronda Hero. Per il momento mi sono iscritto inoltre alla Coppa Lombardia, all’Alta Valtellina Marathon e vorrei iscrivermi al Campionato Italiano Marathon della Divinus Bike Clivius. Sicuramente parteciperò a qualche gara dell’Orobie Cup, campionato lombardo a cui tiene molto il mio team manager sperando di regalargli qualche buon piazzamento. Conclusioni: i limiti sono nella nostra testa Mi ha fatto estremamente piacere aver la possibilità di raccontare la mia storia, dall’incidente alla “rinascita agonistica” in sella a una mountain bike. L’idea è nata durante i giorni di degenza in ospedale, in quanto dopo svariate ricerche sul web non ho trovato nessuna storia di biker con protesi d’anca ritornati all’attività agonistica. Ringrazio per questo il mio amico Claudio Riotti di BiciLive.it e vorrei inoltre ringraziare tutti i miei familiari, amici, conoscenti, colleghi, compagni di squadra che hanno sempre fatto il tifo per me contribuendo a questa rinascita sportiva. Concludo dicendo che la volontà, la determinazione, l’audacia e la caparbietà sono fondamentali per raggiungere i nostri obiettivi, qualsiasi essi siano. I limiti sono nella nostra testa. Tutto è possibile, volere è potere e ho dimostrato a me stesso che si può fare. Quindi se avete una protesi d’anca, che siate ciclisti, biker o altro, appena possibile uscite, agganciate i pedali e giù il gas! Come dice Brumotti… a bombaaazza! Buone pedalate a tutti Davide “Doc” Brenna #9 Il parere del nostro esperto: Davide Allegri, maestro di mtb, laureato in scienze motorie, diplomando in osteopatia In poco più di 50 anni dalla prima installazione di protesi all’anca, la medicina ha fatto passi da gigante offrendo al paziente medio una qualità della vita talvolta paragonabile a quella di una persona senza protesi. L’artrosi all’anca è la causa principale richiedente una protesi con una netta prevalenza tra gli individui oltre i 65 anni. Considerando l’attuale buon funzionamento delle protesi installate oltre 20 anni fa, è da considerarsi “giovane” un paziente sotto i 70 anni, avente quindi una ragionevole probabilità di ricorrere a un intervento di revisione protesica. Essendo un’evoluzione continua, ingegneri e medici ipotizzano che le protesi installate ai giorni d’oggi possano durare ben oltre i venti anni. Davide rientra tra i pazienti giovani e sportivi. Lo sport nella chirurgia protesica è spesso un punto critico dal punto di vista collaborativo sia nella riabilitazione sia nella riatletizzazione. Se il paziente medio ha ottime aspettative generali per il post-intervento, lo sportivo, oltre all’ottimismo, è solitamente impaziente di tornare a svolgere i suoi allenamenti. Cosa non sempre possibile negli sport ad alto impatto come la mtb downhill, per esempio. La bici da corsa, invece, rientra sicuramente negli sport a basso impatto. Davide arrivò in buona forma fisica all’intervento e fu un grande valore aggiunto per tornare il prima possibile in sella. Inoltre dalle sue parole si può notare l’impegno mentale e fisico nel volere recuperare al meglio dall’infortunio. La fisioterapia è di fondamentale importanza nel post-intervento e Davide lo ha chiaramente percepito, dedicandole ore e ore ogni giorno. In meno di due mesi dall’intervento, contro ogni aspettativa (e consiglio, credo) sale nuovamente sulla mtb e inizia un altro lungo cammino verso la pratica di uno sport spesso sconsigliato dagli ortopedici. È vero che le probabilità di usura precoce o di un fallimento protesico sono superiori alla media ma la passione può andare oltre ogni limite, nel bene o nel male.